Condanna provvisionale ex art. 278, II comma, cpc; responsabilità medica e danno da perdita del rapporto parentale

Volutamente vogliamo risultare provocatori. Sin dal 1940 esiste all'interno del codice di procedura civile la “Condanna alla provvisionale” - istituto questo che seppur differenziandosi dalle ordinanze ex art. 186-bis/quater cpc e dalle ordinanze preannunziate nella riforma Cartabia, costituisce proprio la ratio di questi altri anticipatori (forse sovrabbondanti) -.

Giovedi 15 Dicembre 2022

Il II comma dell'art. 278, prevede esplicitamente che, in caso di condanna generica, il collegio possa condannare il debitore nei limiti in cui ritiene raggiunta la prova al pagamento di una somma a titolo di provvisionale.

In giurisprudenza, è consolidato l'orientamento che ritiene, a differenza della condanna generica, che la provvisionale dia luogo ad un provvedimento di condanna vero e proprio, che presuppone il raggiungimento di una prova piena e non dunque di semplice verosimiglianza.

Nei limiti della condanna, la provvisionale costituisce dunque titolo esecutivo. Tale sentenza è irrevocabile dal giudice che l'ha emessa, potendo essere modificata solo per il tramite dell'esperimento dei normali mezzi di impugnazione.

In dottrina, invece, non vi è univocità di vedute: da un lato si sottolinea la differenza tra condanna generica e provvisionale, riconoscendo alla prima la natura di provvedimento tout court condannatorio emesso sulla base della raggiunta prova del quantum della somma risarcitoria; altra dottrina inquadra la provvisionale nell'ambito dei provvedimenti cautelari o comunque sommari e quindi non suscettibili di passare in giudicato; per altra dottrina ancora, la provvisionale viene emessa su una cognizione completa di an e quantum e dunque si tratterebbe di sentenza non definitiva idonea a passare in giudicato.

Al di là della natura giuridica, la condanna provvisionale ben si presta ad essere applicata ai giudizi “bi-fasici” e, dunque, a quelli di responsabilità medica preceduti da una ATP "favorevole".

A tal fine occorre che la richiesta sia avanzata in seno al ricorso ex art. 702 bis cpc che introduce la fase di merito.

Nel caso concreto, a seguito della fase "cautelare" erano state richieste le seguenti voci di danno:

danno - jure ereditario - biologico sofferto dalla de cuius in solido tra i coeredi;

danno - jure ereditario - morale c.d. “catastrofale” in solido tra i coeredi;

danno jure proprio per perdita del rapporto parentale dei singoli ricorrenti;

danno patrimoniale riflesso poichè, a seguito della morte della moglie, il marito disabile è stato affidato ad una casa di riposo (ovviamente trattasi di voci di danno diverse e autonome, da personalizzare anche in base ai criteri stabiliti dalla nuove tabelle milanesi, voci per le quali si era prodotta una infinità di documenti ed erano state avanzate diverse istanze istruttorie testimoniali).

Disposta la rinnovazione della CTU, a seguito della conferma delle valutazioni medico-legali, il Giudice ha ritenuto di accogliere l’istanza ed ha riconosciuto una provvisionale parametrata al 20% del danno da perdita del rapporto parentale - ferme rimanendo le altre questioni in merito alla prova piene della altri voci di danno - sul presupposto che:

"i congiunti, quali vittime secondarie, hanno innanzitutto diritto al risarcimento 1) del danno patrimoniale iure proprio: consiste nella perdita delle utilità economiche di cui i prossimi congiunti beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro; 2) del danno biologico iure proprio: tale danno ricorre qualora le sofferenze causate dalla perdita del prossimo congiunto hanno determinato una loro lesione dell’integrità psicofisica; 3) del danno morale iure proprio: trattasi della lesione grave e irreparabile del legame familiare costituzionalmente tutelato.

Di queste voci di danno, il danno non patrimoniale dei congiunti, incidendo esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e sul legame parentale esistente tra la vittima dell’atto illecito e i superstiti, non è riconoscibile se non attraverso elementi indiziari e presuntivi, che, opportunamente valutati, con il ricorso ad un criterio di normalità, possano determinare il convincimento del giudice.

Non si può pretendere, quindi, una prova diretta del dolore dei superstiti che essendo sostanzialmente un sentimento e comunque un danno di portata spirituale, può essere rilevato prevalentemente in maniera indiretta, attraverso delle presunzioni (vedi su tale ultimo punto in particolare Cass. 2005,n. 15019; vedi anche Cass. 2005, n. 15022 secondo la quale il danno subito in conseguenza della morte di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale è danno non patrimoniale e, integrando un danno conseguenza, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento “potendosi tuttavia ricorrere a valutazioni prognostiche e presunzioni sulla base degli elementi obiettivi forniti dal danneggiato, quali l’intensità del vincolo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti, la compromissione delle esigenze di questi ultimi”).

La più recente giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il danno sofferto dai familiari è un danno diretto, che può desumersi presuntivamente anche dal legame parentale, pertanto dai pregiudizi risarcibili "iure hereditatis" si differenzia radicalmente il danno da perdita del rapporto parentale che spetta "iure proprio" ai congiunti per la lesione della relazione parentale che li legava al defunto e che è risarcibile ove sia provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, ma non anche il rapporto di convivenza, non assurgendo quest'ultimo a connotato minimo di relativa esistenza (cfr.da ultimo Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 21837 del 30/08/2019).

I suddetti pregiudizi possono dunque essere provati anche tramite presunzioni, infatti, «non v'è motivo di ritenere questi pregiudizi [siano] soggetti ad una prova più rigorosa degli altri» (Cassazione civile, ordinanza n. 7748/2020). Tra le presunzioni ammissibili rileva il rapporto di stretta parentela tra la vittima cosiddetta primaria e quelle secondarie.

Invero, la richiamata pronuncia ha chiarito che il rapporto di stretta parentela intercorrente tra la cosiddetta vittima primaria e le vittime secondarie (i congiunti) fa presumere, in base all’id quod plerumeque accidit che il coniuge soffra per le gravi lesioni permanenti riportate dal congiunto.

Tali sofferenze non devono necessariamente tradursi in uno "sconvolgimento delle abitudini di vita", «in quanto si tratta di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d'animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita».

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