Censura per l'avvocato che viola il dovere di informazione durante lo svolgimento dell'incarico.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12636 del 13 maggio 2019 si pronunciano in tena di violazione dei doveri di lealtà e correttezza e dell' obbligo di informativa dell'avvocato nei confronti del cliente.

Giovedi 16 Maggio 2019

Il caso: L'avv. G.T. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense con la quale è stata confermata la sentenza del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Perugia del 2 gennaio 2015, che aveva inflitto alla ricorrente la sanzione disciplinare della censura per violazione dei doveri di lealtà e correttezza prescritti dall'art. 6 del codice deontologico forense vigente ratione temporis, per i seguenti addebiti:

  • in virtù di procura a margine l'avv. G.T. patrocinava il sig. A.C., residente all'estero e titolare di pensione in regime internazionale, presentando ricorso per cassazione con atto notificato all'Inps in data 2.12.2005;

  • a seguito di sentenza di accoglimento del ricorso il legale depositava presso la cancelleria della Corte di appello di Roma ricorso in riassunzione ex art. 392 cpc con il quale il predetto sig. A.C. conveniva l'Inps per l'udienza del 12.10.2008, malgrado che il predetto sig.A.C. risultasse deceduto in data 1 gennaio 2003 e cioè in epoca precedente la notifica del ricorso per cassazione (2 dicembre 2005) e del ricorso in riassunzione (17 marzo 2008) redatti sulla base di procura a margine degli atti difensivi.

    Per il CNF tali condotte quindi violano i doveri di lealtà e correttezza di cui all'art. 6 Codice deontologico forense: sul punto il CNF rileva che :

  • commette un illecito deontologico l'avvocato che svolga il mandato conferitogli senza avere cura di fornire tutte le informazioni possibili, non solo al momento dell'assunzione dell'incarico ma anche e soprattutto durante lo svolgimento dello stesso: il dovere d'informazione non è solo finalizzato a non far insorgere pregiudizi in capo all'assistito, ma assolve ad un obbligo più ampio, che deve articolarsi nella rappresentazione dei rimedi esperibili e nella condivisione delle scelte processuali”;

  • e ancora: “la violazione del dovere di informazione di cui ai commi 7 e 8 dell'art. 27 del nuovo codice deontologico prevede come pena disciplinare edittale quella della censura e non si ravvisano ragioni per addivenire ad una attenuazione della sanzione «essendo inequivocabilmente emerso il proseguimento di attività professionale per effetto del decesso della parte assistita in assenza di qualsiasi informativa, o tentativo d'informativa, a favore della stessa o degli eredi”.

Con il ricorso in Cassazione avverso la decisione del CNDF, il legale censura la sentenza impugnata per aver ravvisato un illecito disciplinare nel fatto che il difensore abbia continuato ad agire pur dopo il decesso del proprio assistito, nonostante che ciò sia avvenuto in forza di valida procura alle liti: infatti, sia il ricorso per cassazione, sia il ricorso in riassunzione furono proposti sulla base di procura consolare rilasciata dall'assistito in data 2 luglio 1998.

La Suprema Corte rigetta il ricorso ritenendo infondate le motivazioni addotte dalla ricorrente e sul punto osserva che:

  • nella sentenza impugnata si legge che il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Perugia, nella pronuncia di primo grado, rileva che nel corso del procedimento il legale non ha fornito prova di aver saputo del decesso del suo assistito e quindi di non aver curato l'iniziativa di contattare lo stesso o i suoi familiari per dar conto e convenire le azioni a tutela dello stesso;

  • il legale ha pertanto assunto le iniziative processuali di propria iniziativa, violando l'obbligo di informazione con l'assistito per oltre 5 anni al punto da ingenerare nei confronti dei giudici aditi e dei contraddittori processuali l'apparente legittimità dello specifico incarico, il tutto in spregio alle responsabilità connesse al rilievo pubblicistico della funzione difensiva;

  • il giudice di primo grado ha quindi chiaramente e specificamente individuato e qualificato l'incolpazione essenziale alla stessa addebitata nella violazione dell'obbligo di informazione della parte assistita sullo svolgimento del mandato e sulla necessità di compiere determinati atti a tutela dei suoi interessi ;

  • a fronte di tale qualificazione, la ricorrente non solo nulla ha eccepito, in appello, in termini di eventuale non correlazione tra addebito contestato e decisione, ma si è, anzi, pienamente difesa nel merito, negando la configurabilità della violazione ascrittale, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto.

Allegato:

Cassazione Sezioni Unite sentenza n.12636 2019

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