Cassazione: è reato “spiare” le conversazioni dei figli

Giovedi 16 Ottobre 2014

L'Art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo enuncia il principio per cui

“1. Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione.

2. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti.”

Dall'applicazione di tale disposizione prende le mosse la questione esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza n. 41192 del 03/10/2014.

Il caso è quello di un padre condannato sia in primo grado che in grado di appello per il reato ex art. 617 c.p. per aver egli registrato  le comunicazioni telefoniche intervenute tra la moglie separata e i propri figli minori a lui affidati.

L'art. 617 c.p. punisce infatti “Chiunque, fraudolentemente, prende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette, ovvero le interrompe o le impedisce è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni...omissis”.

Il padre propone ricorso per cassazione contestando la decisione del giudice di secondo grado, adducendo le seguenti motivazioni: in primo luogo manca la tipicità del fatto per la mancanza di uno degli elementi costitutivi del reato, atteso che i figli minori dell'imputato non possono considerarsi "altre persone", non potendo sottrarsi ai doveri di vigilanza del genitore esercente la potestà opponendogli la riservatezza delle comunicazioni; in secondo luogo il padre non ha preso cognizione del contenuto della registrazione, essendosi limitato a consegnare il nastro ai servizi sociali; da ultimo, nella fattispecie manca il carattere fraudolento della condotta, avendo egli preavvertito la moglie della sua intenzione di registrare le telefonate della medesima con i figli.

Il padre inoltre lamenta il mancato riconoscimento della scriminante ex art. 51 c.p. avendo  agito nell'esercizio del diritto/dovere di controllare le comunicazioni effettuate o ricevute dai figli minori perchè fortemente preoccupato dall'influenza negativa esercitata dalla madre su di essi.

La Suprema Corte respinge il ricorso, contestando punto per punto le argomentazioni svolte dal ricorrente.

Quanto al primo punto, la Corte precisa che  “ancorchè minori, i figli sono soggetti "altri" rispetto al padre e tanto basta per ritenere integrata la condizione di tipicità del fatto. L'eventuale rilevanza degli obblighi di vigilanza del genitore nei confronti dei figli minori può eventualmente dispiegarsi nel momento in cui debba valutarsi l'effettiva antigiuridicità del fatto, ma non può giustificare una sorta di immedesimazione tra il padre e i figli.

Analogamente la Corte ritiene privo di pregio il secondo  motivo di impugnazione, e al riguardo si limita ad approvare il ragionamento logico della Corte territoriale, che ha  correttamente rilevato come il padre, al fine di selezionare il materiale poi trasposto su CD e consegnato agli assistenti sociali,  necessariamente abbia preso cognizione del contenuto delle comunicazioni.

Anche il terzo motivo viene respinto dalla Suprema Corte, che nel definire il carattere fraudolento della condotta,  precisa che “il carattere della fraudolenza ex art. 617 c.p. qualifica il mezzo utilizzato per prendere cognizione della comunicazione (e non l'elemento soggettivo del reato come erroneamente ritenuto dal ricorrente), il quale deve essere pertanto idoneo ad eludere la possibilità di percezione del fatto illecito da parte di coloro tra i quali la stessa intercorre. In altri termini la presa di cognizione punita dalla disposizione citata è quella realizzata con mezzi che ne garantiscano sostanzialmente la clandestinità.”

Tutt'al più, continua la Corte, solo se i diretti interessati vengono resi partecipi nell'attualità della conversazione dell'interferenza può escludere il carattere fraudolento della condotta posta in essere.

Da ultimo, in ordine alla censura circa il mancato riconoscimento della scriminante ex art. 51 c.p., gli Ermellini escludono che essa possa essere applicata nel caso di specie in quanto “il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore non giustifichi indiscriminatamente qualsiasi altrimenti illecita intrusione nella sfera di riservatezza del primo (espressamente riconosciutagli dall'art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con la L. 27 maggio 1991, n. 176), ma solo quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell'ottica della tutela dell'interesse preminente del minore e non già di quello del genitore”.

 

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