Il CNF con la decisione del 3 maggio 2016 si pronuncia in tema di divieto per l'avvocato di svolgere attività di intermediazione immobiliare.
Lunedi 27 Marzo 2017 |
Il caso: il COA di Torino irrogava all'avv. M.B. la sanzione della censura, avendone riconosciuto la responsabilità disciplinare in relazione a due capi di incolpazione: l'uno per la violazione degli articoli 5, 6 e 41 del vecchio codice deontologico, per avere trattenuto somme spettanti al proprio cliente, e l'altro, per la violazione dell'art. 16, sempre del vecchio codice, per avere svolto incarico di mediazione immobiliare, incassando la relativa provvigione e essere venuto meno ai doveri di dignità probità e decoro per avere indicato in parcella prestazioni di consulenza legale in realtà mai svolte.
L'avvocato impugnava la decisione del COA, ritenendone l’erroneità, lamentando l’insussistenza della violazione di cui all’art. 16 del (vecchio) codice deontologico forense; il difetto di volontarietà della condotta per tutti i fatti ascrittigli e la conseguente eccessività della sanzione inflittagli; in particolare, per la prima violazione, rilevava che:
- il COA aveva erroneamente qualificato come mediazione l’attività da lui posta in essere in favore del cliente, trattandosi, invece, di attività di consulenza legale, regolata, tra le parti, con contratto sottoscritto in data 31 luglio 2009, per mero errore denominato “contratto di mediazione per compravendita immobiliare;
- tale assunto era confermato dal fatto che il cliente aveva effettuato il pagamento per la prestazione svolta in suo favore senza attendere il buon esito dell’affare immobiliare, riconoscendo pertanto che si trattava di obbligazione di mezzi (propria della consulenza legale) e non di risultato (propria della mediazione);
Il CNF respinge il ricorso e osserva:
- il Consiglio dell’Ordine di Torino ha deciso correttamente alla luce delle risultanze probatorie, che consistono sia nell’accordo stipulato dalle parti in data 31 luglio 2009 - il cui contenuto, redatto personalmente dal legale. non si presta ad equivoci- sia nelle deposizioni testimoniali assunte nella fase dibattimentale, la cui portata deve essere valutata anche alla luce dell’assenza di ogni elemento anche indiziario volto a provare lo svolgimento da parte del ricorrente di un’attività riconducibile alla consulenza legale;
- non è rilevante la circostanza che il cliente abbia corrisposto il compenso pattuito senza attendere il buon esito dell’affare: infatti l’accordo contrattuale prevedeva che la provvigione sarebbe stato pagata “in caso di accettazione da parte della parte venditrice”, contestualmente alla firma del compromesso; nel caso di specie le parti si erano accordate per stipulare direttamente l’accordo definitivo, e pertanto, nel rispetto dell’accordo sottoscritto, il cliente aveva versato la provvigione concordata prima di entrare dal Notaio che avrebbe stipulato il rogito;
Di conseguenza, l’attività posta in essere dall’avvocato è stata quella di mediatore immobiliare, integrando lo svolgimento di una attività commerciale, o comunque incompatibile con i doveri di indipendenza, e di decoro della professione forense vietata dall’art. 16 del codice deontologico forense vigente all’epoca della decisione, oggi sostituito dall’art. 6 del nuovo codice.
Più precisamente, all’avvocato sono stati addebitati comportamenti contrari al proprio obbligo di comportarsi con probità, dignità e decoro, per avere esposto in fattura prestazioni non svolte, e per avere posto in essere, sia pure in una sola occasione accertata, attività di mediazione, che, sino alla modifica introdotta il 16 luglio 2011, costituiva comunque un illecito disciplinare tipico, poi sostituito con un precetto di portata più generale che fa divieto all’avvocato di porre in essere attività incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro.
L'attività di mediazione può essere ricondotta, per analogia, alla violazione del dovere di indipendenza, di cui al comma 2 dell’art. 24 del Codice vigente, sanzionata con la censura.