L'avvocato che insulta e minaccia la ex moglie è soggetto a sanzione disciplinare in quanto anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero deve comportarsi nei rapporti interpersonali in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi.
Lunedi 5 Agosto 2024 |
Così ha sancito il CNF nella sentenza n. 107/2024.
Il caso: Il procedimento nasce da un esposto depositato dalla moglie di Tizio depositato al COA di Brescia, che l’ha inoltrato poi ritualmente al CDD, ove si indicavano le doglianze della coniuge poi trasfuse nei capi di incolpazione.: gli episodi cominciano a partire dal 2016, nel periodo in cui i due coniugi si erano separati di fatto, in quanto Mevia a seguito dei comportamenti vessatori e minacciosi del marito si era allontanata da casa per poi dare inizio a giudizio di separazione con addebito; gli insulti e le minacce erano stati documentati dall’esponente, che ha anche elencato le telefonate; inoltre Mevia lamentava dei danneggiamenti della bicicletta, mostrando foto di bruciature sulla sella e su abiti e un tentativo di hackeraggio, sventato, su suoi depositi bancari.
Tizio, nella memoria difensive, dichiarava di essere stato portato ad esasperazione dai comportamenti della moglie, rendendo quindi dichiarazione in parte confessoria con l’affermare che la tensione continua dei rapporti lo aveva indotto a travalicare certi limiti, che, a mente serena, non avrebbe mai oltrepassato”,
Il CDD riteneva violato l’art. 63 comma 1 del Codice deontologico Forense laddove recita “l’avvocato, anche al di fuori dell’esercizio del suo ministero deve comportarsi nei rapporti interpersonali in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi”; pertanto, stante il lungo periodo di reiterazione di insulti e molestie dal 2016 al 2018 e le parole ingiuriose scritte in alcuni bonifici indirizzati alla esponente per il mantenimento del figlio, anziché la sanzione minima edittale che prevede l’avvertimento, il CDD riteneva di dover irrogare la sanzione aggravata della censura.
Tizio ricorre al CNF, che nel rigettare il ricorso, osserva che:
a) per quanto attiene alla tesi che trattandosi di comportamento non tenuto nel corso di svolgimento di incarico professionale la condotta non sarebbe punibile, si rileva che le condotte rilevanti sul piano deontologico non sono soltanto quelle attinenti all’esercizio della professione;
b) in una fattispecie analoga a quella in esame il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza del 28 dicembre 2013, n. 213 ha affermato “L’avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi anche nella dimensione privata e non propriamente nell’espletamento dell’attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione (art. 5 c.d.f., ora 9 ncdf) e deve in ogni caso astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive (art. 20 c.d.f., ora 52 ncdf), la cui rilevanza deontologica non è peraltro esclusa dalla provocazione altrui, né dalla reciprocità delle offese, né dallo stato d’ira o d’agitazione che da questa dovesse derivare, non trovando applicazione in tale sede l’esimente prevista dall’art. 599 c.p.”;
c) per quanto riguarda poi la richiesta di rimodulazione della sanzione in altra meno afflittiva, si rileva che per giurisprudenza costante la determinazione della sanzione disciplinare è conseguenza della complessiva valutazione dei fatti, avuto riguardo alla gravità dei comportamenti contestati, all’intensità del dolo, al comportamento reiterato: nel caso in esame, le tardive scuse e l’assenza di precedenti disciplinari sono entrate nella valutazione complessiva del bilanciamento della sanzione, non essendo stata applicata la sanzione più grave della sospensione dall’esercizio della professione, ma solo la censura.