Ammissibile la modifica della domanda di adempimento contrattuale in indebito arricchimento

Con la sentenza n. 15497/2019, pubblicata il 7 giugno scorso, la Corte di Cassazione si è nuovamente occupata della questione relativa all’ammissibilità o meno nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore opposto nei confronti di un ente di modificare con la memoria ex art. 183, VI° comma c.p.c., primo termine la domanda di adempimento contrattuale in indebito arricchimento.

Venerdi 21 Giugno 2019

Com’è noto, nei contratti stipulati da un fornitore o da un professionista con la pubblica amministrazione, anche se quest’ultima agisce “iure privatorum”, ai fini della validità del contratto è richiesta a pena di nullità la forma scritta “ad substantiam”, in ottemperanza di quanto disposto dagli artt. 16 e 17 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440.

La forma scritta è considerata come uno strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino sia della collettività, nel rispetto del principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione come previsto dall’art. 97 della Costituzione.

Per essere valido il contratto stipulato con la pubblica amministrazione deve essere sottoscritto, oltre che dal professionista o dal fornitore, anche dal titolare dell’organo dell’amministrazione che ha il potere di rappresentare l’ente nei confronti dei terzi, non essendo sufficiente una semplice delibera con la quale l’ente conferisce l’incarico ad un professionista o autorizzi il suddetto conferimento.

Tale delibera di natura autorizzatoria e diretta al diverso organo che è legittimato ad esprimere esternamente la volontà dell’ente stesso, ha solo efficacia interna all’ente.

Inoltre, non è consentito fornire la prova della stipula del contratto per il quale la legge impone la forma scritta con altri mezzi, salvo nella sola ipotesi eccezionale prevista dagli artt. 2725, ultimo comma e 2724 n. 3 cod.civ. e cioè quando << il contraente ha senza sua colpa perduto il documento>>.

Quindi, in considerazione dell’obbligo della forma scritta del contratto, una volta che un fornitore e o un professionista per il recupero delle proprie spettanze notifica all’amministrazione pubblica un decreto ingiuntivo, quest’ultima spesso propone opposizione eccependo la nullità del contratto sulla scorta del quale è stato emesso il provvedimento monitorio per difetto della prova scritta.

In questi casi, il creditore al fine di vedersi riconoscere il proprio credito molte volte formula, anche se in subordine, domanda di arricchimento senza causa modificando la domanda originaria di adempimento contrattuale e il Giudice è chiamato a decidere sull’ammissibilità o meno della suddetta modifica e sulla tempestività della stessa.

IL CASO: La vicenda esaminata prende spunto dall’opposizione promossa da un Comune avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da un professionista per prestazioni professionali svolte a favore del suddetto ente.

Il Comune eccepiva la nullità del contratto di prestazione d’opera professionale sulla scorta del quale era stata formulata la pretesa creditoria per mancanza dei requisiti di forma scritta come previsto dalla normativa in presenza di soggetto pubblico quale contraente.

Il creditore opposto, pertanto, con la memoria ex art. 183, VI° comma c.p.c., primo termine, formulava domanda di indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ. L’opposizione veniva accolta e la sentenza di prime cure veniva confermata in sede di gravame interposto dagli eredi dell’attore originario, deceduto nelle more. Secondo i giudici di merito, il contratto di prestazione d’opera professionale sulla scorta del quale era stato richiesto il decreto ingiuntivo era nullo per mancanza della forma scritta “ad substantiam” prevista dalla normativa vigente e la successiva domanda di indebito arricchimento era tardiva.

Avverso la decisione della Corte di Appello veniva interposto ricorso per Cassazione con il quale veniva dedotta, fra l’altro, la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., art. 183 c.p.c., commi 3 e 4, art. 2041 c.c., 6, CEDU.

LA DECISIONE: Con la decisione in commento, la Corte di Cassazione ha ritenuto errata la decisione impugnata e nell’accogliere il motivo del ricorso con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello, ha ribadito i seguenti principi:

1) la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ("petitum" e "causa petendi"), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali. (Cass. Sezioni Unite, sentenza n. 12310/2015);

2) nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell'art. 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (Cass. Sezioni Unite, sentenza n. 22404/2018)

Allegato:

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza 7 giugno 2019 n. 15497

Risorse correlate:

Pagina generata in 0.084 secondi