La Direttiva Europea n.29 del 2012 ha introdotto tutta una serie di diritti pre-processuali e processuali sia per l’imputato che per la Vittima di un reato ove non conoscano la lingua italiana.
Martedi 21 Ottobre 2025 |
Tale assistenza, considerata un meta-diritto per garantire la capacità processuale all’imputato, va estesa a tutto il procedimento giudiziario a partire dalla custodia cautelare e sino alla esecuzione della pena e deve trovare applicazione a tutti gli atti connessi al processo a cui partecipa lo stesso imputato ovvero la Vittima/Parte offesa per una effettiva conoscenza degli atti processuali dell’Autorità Giudiziaria.
La comprensione chiara e precisa degli atti e del contenuto dell’accusa trova anche riscontro nell’ambito della cooperazione giudiziaria europea nata per rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri e per facilitare il riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
In questo contesto vanno ricordate le Direttive 2010/64/UE del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione degli atti nei procedimenti penali, e la Direttiva 2012/13/UE del 22 maggio 2012 sul diritto all’informazione dell’addebito penale.
Alla luce del contenuto delle Direttiva citate, occorre esaminare la normativa emanata dal Legislatore Italiano dopo il loro recepimento e l'impatto da esse ricevuto nell’attività gudiziaria presso i Magistrati (v. M. Merlino magistrata di sorveglianza a Pescara, Quale tutela linguistica per l’alloglotta in custodia cautelare? In Riv. Questione Giustizia).
La normativa vigente
Innanzi tutto, per comprendere meglio la portata dell’intervento legislativo scaturito da quello europeo, non si può prescindere dalle garanzie riconosciute dagli artt. 5, par.2 e 6, par. 3, lett. a) della CEDU di cui la prima accorda all’imputato il diritto ad essere informato al più presto e in una lingua che comprende dei motivi del suo arresto e di ogni accusa formulata a suo carico.
Il successivo art. 6, par. 3 lett. a) della CEDU sancisce “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti ad un tribunale indipendente e imparziale istituito per legge”.
La definizione di questi principi sanciti dalla Convenzione Europea impo ne a tutti i Governi della UE di assicurare un’assistenza linguistica qualificata sia all’imputato che alla Vittima di Reato, siccome costituisce un diritto fondamentale ed una tutela resasi necessaria dall’avvento dei flussi migratori nella UE di cittadini dei Paesi Terzi negli ultimi anni
Invero, la stessa Corte di Cassazione ha ricordato, nelle decisioni sul tema, l’esistenza di importanti fonti di rango sovraordinato, come per il citato art. 6, par.3, CEDU mentre l’art. 111, co.3, Cost. prevede l’obbligo di informazione tempestiva e riservata dell’accusa, per consentire che l’interessato sia assistito da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo.
Costituiscono altre norme di derivazione europea, i principali interventi legislativi che hanno inciso sulla disciplina dell’assistenza linguistica nel processo penale tra cui il D.lgs. 1° luglio 2014, n. 101, che ha recepito la Direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, e il D.lgs. 4 marzo 2014, n.32 che ha ratificato la Direttiva 2010/ 64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione degli atti nel procedimento penale.
Con successivo d.lgs. 23 giugno 2016, n. 129, sono state apportate dispo sizioni integrative e correttive al D.lgs. 32/2014.
Le novità introdotte dal D.lgs. 101/2014 hanno riguardato, anzitutto, la modifica dell’art. 293 c.p.p., che oggi include l’obbligo, per l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria, incaricato di eseguire l’Ordinanza di custodia cautelare, di consegnare tempestivamente all’interessato una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa, con indicazione dei diritti che spettano all’indagato, tradotta in una lingua a lui compren sibile ove non capisca l’italiano.
Analogo obbligo informativo è stato previsto per le persone arrestate o fermate (art. 386 c.p.p.).
L’art. 1 D.lgs. 101/2014 è poi intervenuto sull’ art. 369-bis c.p.p., assicu rando all’indagato o all’imputato a piede libero il diritto di ricevere, prima dell’interrogatorio o comunque al termine delle indagini preliminari, l’informazione sui propri diritti.
All’art. 369 c.p.p. è stato aggiunto un comma 1-bis, contenente l’obbligo per il Pubblico Ministero di inserire, all’interno dell’informazione di garanzia, anche la comunicazione relativa ai diritti che riguardano l’iscri zione del registro ex art. 335, co. 3, c.p.p.
Nell’attuale Ordinamento processuale penale, gli alloglotti possono giovarsi dell’assistenza di un interprete e ottenere la traduzione scritta degli atti, secondo gli artt. 143 ss. c.p.p., novellato nel 2014 e nel 2016 in seguito al recepimento della direttiva 2010/64/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpre tazione e alla traduzione nei procedimenti penali, che è stata recepita in Italia con la modifica degli artt. 143 ss. c.p.p. ed a cui la recente Riforma Cartabia ha aggiunto l’art 143 bis allo scopo di assicurare tale assisten za anche a spese dello Stato, estesa anche al procedimento di Giustizia Riparativa in linea con i principi generali.
I diritti della Vittima
Le stesse garanzie vanno estese alla Vittima alloglotta che non conosce la lingua del Paese atteso che l’art. 14 della CEDU proibisce le discrimina zioni basate su diverse ragioni, tra le quali la lingua.
Il legislatore Italiano ha recepito la Direttiva 2012/29/UE con il D.Lgs 215/2005 che ha introdotto quella che può essere definita come la nuova “carta dei diritti della vittima” posta all’interno dell’art. 90-bis c.p.p.
In primo luogo, sono garantiti i diritti della vittima straniera di comprendere e di essere compresa, tanto in fase di indagine, quanto in fase processuale; tale diritto è coessenziale a quelli di poter esprimere le proprie denunce senza rischi di fraintendimenti e di conoscere facoltà e poteri attribuiti dal sistema processuale alle persone offese del reato.
Una particolare attenzione viene riservata al momento della denuncia di un reato anche sul piano linguistico.
Tale informazione rappresenta, infatti, un presupposto imprescindibile per l’offeso poiché la vittima va informata in ordine alle modalità di presentazione dell’atto e alle conseguenze procedimentali ad esse connesse (art 90-bis lett. a).
Viene inoltre assicurata una maggiore tutela per la vittima straniera poiché la lett. g) della norma innanzi richiamata ha sancito un generale obbligo informativo circa i diritti riconosciuti dalla legge alla Vittima nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell'Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato.
Il nuovo art. 107-ter disp. att. c.p.p., specifica, poi, la possibilità di presentare denuncia o querela nell’idioma conosciuto, purché la proposizione avvenga presso la Procura della Repubblica del Tribunale del Capoluogo del Distretto.
Medesimi accorgimenti vanno rivolti alla vittima residente o domiciliata in Italia che abbia subito un reato fuori dai confini nazionali atteso che l’art. 108-ter disp. att. c.p.p., ha introdotto il diritto a presentare denuncia o querela presso la Procura della Corte d’Appello, che si occuperà dell’inoltro all’Autorità Giudiziaria straniera competente.
Le informazioni all’offeso, ex art. 90-bis c.p.p., comportano anche l’obbligo di informare lo stesso sulle fasi procedimentali successivi alla querela/denuncia presentata.
La normativa prescrive che la vittima riceva aggiornamenti sullo stato del procedimento e su eventuali iscrizioni ex art. 335 c.p.p (lett. b);sulle Autorità cui rivolgersi per ottenere informazione (lett. i); sulle modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti (lett. h).
Viene inoltre introdotto il diritto della Vittima alla notifica del capo di imputazione, della data d’udienza, nonché, se costituita parte civile, della decisione finale, anche solo per estratto (lett. a).
Ulteriori prescrizioni in tema di informazione sul diritto di difesa (lett. d) e all’assistenza linguistica (lett. e) sono l’intervento ad adiuvandum del difensore di fiducia e dell’interprete/traduttore viene concepito come speculare rispetto a quello previsto per l’imputato, entrambi preposti ad introdurre a fianco della parte privata un professionista che sappia “parlare la lingua del processo” come pure “tradurla” che può essere interpretato come diritto all’assistenza da parte di un interprete e traduttore qualificato ed esperto di Diritto Penale e Processuale a diffe renza dei Mediatori Culturali che ne sono privi.
Parimenti, la vittima deve essere informata del diritto di accedere al patrocinio a spese dello Stato ai senso dell’art 143bis nella chiara direzione dell’abbattimento di ogni ostacolo alla richiesta di giustizia avanzata.
Diverse, invece, sono le finalità degli avvisi orientati a proteggere la vittima da pericoli concreti per la sua incolumità.
Sul tema è stata emanata una norma ad hoc con l’art. 90-ter c.p.p., in cui viene sancito il diritto dell’offeso a richiedere alle Autorità competenti informazioni specifiche sulla scarcerazione o evasione dell’autore del reato, nei casi più gravi e ove sussista un effettivo rischio di ritorsioni.
In particolare, la norma innanzi indicata prevede che l’avviso venga inoltrato senza ritardo da parte della polizia giudiziaria nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, e salvo che tale notifica possa comportare un rischio concreto di danno per l’autore del reato.
La notifica diviene doverosa nei soli casi cui la vittima abbia dichiarato di voler essere informata, benché potrebbe frustrare gli obiettivi sottesi alla norma.
Tuttavia la nuova norma va a completare le disposizioni recentemente introdotte in tema di tutela del soggetto leso.
Infatti, la Legge. 119 del 2013, come è noto, ha stabilito che nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, un’obbligatoria forma di interlocuzione con la persona offesa dal reato, individuata quale destinataria ex lege della notifica della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari previste dagli artt. 282-bis,282- ter,283,284,285 e 286 c.p.p., a pena di inammissibilità dell’istanza de libertate
Nella stessa direzione va letto l’art. 4 del D.lgs n. 9 del 2015, che ha inserito all'interno dell'articolo 282-quater c.p.p. un nuovo comma (1-bis) contenente l'obbligo per l'Autorità Giudiziaria procedente di infor mare la persona offesa circa la facoltà di richiedere l'emissione di un ordine di protezione europeo.
Inoltre fra i nuovi diritti informativi, spicca, poi, la facoltà della vittima di essere avvisata della richiesta di archiviazione (ex art. 90-bis, comma 1, lett. c), c.p.p.).
È noto, infatti, l’avviso di archiviazione deve essere notificato solo se la persona offesa ne abbia fatto specifica richiesta mentre mancava una disposizione generale che obbligasse l’Autorità procedente ad informare anche la Vittima di questo diritto.
In definitiva, sebbene in estremo ritardo rispetto alla Direttiva 2012/ 29/UE, che sancisce il diritto all’assistenza linguistica ed alla gratuità della prestazione per le vittime di reato, la normativa richiamata ha colmato una lacuna importante.
Va ricordato, inoltre, che il codice di rito prevede che è obbligatorio l’uso dell’italiano negli atti processuali (art. 109, co. 1, c.p.p.) e consente ai soli cittadini dello Stato, appartenenti a determinate minoranze etniche, di utilizzare la propria lingua madre nel procedimento, a date condizioni: la tutela è circoscritta territorialmente e subordinata all’attivazione di parte.
In questo risiede una delle principali differenze con l’assistenza linguistica per gli alloglotti di cui agli artt. 143 ss. c.p.p., per i quali il diritto all' interprete dipende, invece, dalla prova della difficoltà di parlare o di comprendere la lingua in cui si svolge il processo, in attuazione dell’art. 6 della Costituzione che, da un lato, sancisce la tutela del diritto di difesa, e, dall’altro, la partecipazione consapevole al giudizio.
Il legislatore si è preoccupato, infine, di modificare l’art. 12 L. 69/2005 in materia di mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati esteri per prevedere la comunicazione scritta delle informazioni già previste dallo stesso art. 12.
L’art 143 cpp
La garanzia linguistica ex artt. 143 ss. c.p.p. e? applicabile, in effetti, a tutti i soggetti alloglotti, siano essi italiani, stranieri o apolidi.
Occorre soffermarsi, tuttavia, sulle novità introdotte dal D.lgs. 32/2014.
La novella ha interessato, anzitutto, l’art. 104 c.p.p., cui è stato aggiunto un comma 4-bis; gli artt. 67 e 68 disp. att. c.p.p. sono stati modificati, così come l’art. 5, lett. d) DPR 30 maggio 2002, n. 115 (Tu delle disposi zioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).
La riforma è intervenuta, sopratutto, a riscrivere integralmente il testo dell’art. 143 c.p.p., il quale oggi risulta così formulato:
«Art. 143. Diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali.
L’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall’esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all’assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del proce dimento.
Negli stessi casi l’Autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa, dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna.
La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire all’imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza.
L’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall’Autorità Giudiziaria ed è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano.
L’interprete e il traduttore sono nominati anche quando il Giudice, il Pubblico Ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
La nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti e la prestazione dell’ufficio di interprete e di traduttore è obbligatoria.
Va, infine, ricordato che l’art. 51-bis disp. att. c.p.p., introdotto dal D.lgs. 129 del 2016, ha stabilito, al comma secondo, che «quando ricorrono particolari ragioni di urgenza e non e? possibile avere prontamente una traduzione scritta degli atti di cui all’art. 143, comma 2, del codice l’Autorità Giudiziaria dispone, con decreto motivato, se ciò non pregiudica il diritto di difesa dell’imputato, la traduzione orale, anche in forma riassuntiva, redigendo contestualmente verbale».
La possibilità di tradurre oralmente, anche in via parziale, i documenti di cui all’art.143 co.2, c.p.p., e? ancorata a «particolari ragioni di urgenza» da motivare espressamente in apposito decreto.
L’ampiezza delle modifiche al tessuto normativo, in conclusione, sembra diretta ad un significativo ampliamento della tutela.
La tutela linguistica in sede cautelare
Tra le varie incongruenze segnalate, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto interpretativo sull’individuazione delle conseguenze processuali derivanti dall’omessa o tardiva traduzione del provvedimento di una misura cautelare personale nei confronti di un soggetto alloglotta che non conosce la lingua italiana (v sent. Cass. Sez. Un.,26.10.2023, dep. 11.04.2024, imp. Niecko)
La questione di diritto era stata così formulata: se la mancata traduzione, entro un termine congruo, in una lingua nota all’imputato che non conosca la lingua italiana, dell’Ordinanza che dispone una misura cautelare personale determini la nullità di detto provvedimento ovvero la perdita di efficacia della misura oppure comporti solo il differimento del termine per proporre impugnazione.
Nell’Ordinanza di rimessione, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione aveva ricordato l’esistenza di due contrapposti orientamenti.
Secondo una prima impostazione, l’omessa o tardiva traduzione non dà luogo a nullità, come desumibile dall’art. 143, co. 1, c.p.p., che stabilisce la doverosa traduzione degli atti fondamentali, funzionale a consentire l’esercizio della difesa, senza tuttavia prevedere alcuna sanzione proces suale.
Aderendo a tale interpretazione, il vizio linguistico (omessa o tardiva traduzione) non si riflette sulla struttura ontologica dell’atto, ma può comportare conseguenze in termini di efficacia dello stesso, potendo, al più, incidere sulla validità degli atti processuali derivati.
Il contrapposto orientamento sostiene l’esistenza di un vizio dell’atto, pur declinandosi diversamente gli effetti processuali che ne derivano a seconda del momento in cui l’Autorità procedente apprende che l’interessato non comprende o non parla sufficientemente la lingua italiana: se tale conoscenza precede l’adozione dell’atto, l’omessa o tardiva tradu zione determina una nullità a regime intermedio (come già affermato da Cass., Sez. Un.,24 settembre 2003, dep. 2004, Zalagaitis, e come ribadito da successivse pronunce).
Per contro, se l’ignoranza della lingua nella quale il provvedimento cautelare è stato redatto non è nota al giudice al momento dell’emissione dell’Ordinanza, è doverosa la traduzione entro un congruo termine, pena l’invalidità sopravvenuta dell’atto.
La necessità di assicurare la più ampia tutela all’obbligo di traduzione degli atti in una lingua nota all'imputato o all'indagato alloglotta, che si fonda sul combinato disposto degli artt. 24, co. 2, Cost., e 6, par. 3, lett. a) CEDU, richiamato nella sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 1993, ha indotto le Sezioni Unite a validare l’orientamento per cui le ipotesi di mancata o tardiva traduzione dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino che non conosce la lingua italiana concretizzano un vizio dell’atto.
L’Ordinanza che dispone una misura cautelare personale è idonea a incidere immediatamente sulla libertà personale dell’indagato, la cui inviolabilità è presidiata dalle garanzie di cui all’art. 13 Cost. e rispetto alla quale il fondamentale diritto di difesa deve essere garantito in termini effettivi.
Gli artt. 13,24 Cost. e 6, par. 3, lett. a) CEDU impongono di riconoscere «la massima forza espansiva al diritto alla traduzione degli atti, assicurando, al contempo, la tempestività di tale attività processuale», come già aveva affermato la Corte Costituzionale, precisando, peraltro, che tale soluzione doveva imporsi tanto se l’ignoranza della lingua italiana fosse stata dedotta dalla parte, quanto se fosse stata, in altro modo, portata a conoscenza del Giudice.
Pertanto, nella decisione assunta dalle Sezioni Unite, occorre distinguere le ipotesi di inerzia dell’Autorità Giudiziaria da quelle in cui la circostanza della mancata conoscenza dell’italiano da parte dello interessato emerga in momento successivo all’emissione della Ordinanza.
Nel primo caso, l’Ordinanza cautelare decisa dal Giudice, il quale conosca la difficoltà linguistica del soggetto ma non disponga la traduzione, in termini congrui, del provvedimento, deve ritenersi adottata «in assenza di uno dei suoi elementi costitutivi», cioè in violazione del diritto alla comprensione dei motivi per i quali è intervenuta la compressione della libertà personale, che è condizione preliminare all’esercizio del diritto di difesa.
Tale affermazione scaturisce dal tenore letterale dell’art. 292, co.2, c.p.p., che impone non solo la «descrizione sommaria del fatto con l’indica zione delle norme di legge che si assumono violate» (lett. b), ma anche «l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato».
Ne consegue che la violazione dell’obbligo di traduzione determina non una forma di inefficacia, bensì una nullità a regime intermedio, e ciò in linea con quell’orientamento di legittimità che già riteneva potersi derivare dall’art. 143 c.p.p., che non prevede alcuna sanzione processuale specifica per le ipotesi in esame.
Quanto, invece, all’ipotesi in cui la circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana emerga in tempo successivo all’emanazione dell’Ordinanza, grava sull’Autorità Giudiziaria l’obbligo di disporne la traduzione in un termine congruo, non potendosi riservare all’alloglotta un trattamento deteriore rispetto al caso di conoscenza ab initio della sua difficoltà linguistica da parte del giudice e trattandosi, anche in questo caso, di dare effettività a un diritto perfetto, direttamente azionabile.
Anche in questa fattispecie, la mancata traduzione (entro un termine congruo) determina una nullità a regime intermedio, determinandosi un vizio attinente all’intervento, all’assistenza e alla rappresentanza dello imputato ma non una ipotesi di mera “inefficacia”, che è una categoria distinta che l’Ordinamento processuale contempla per ipotesi di segno diverso (artt. 284 ss.,300 e 306 c.p.p.).
La Suprema Corte rimarca, infine, che la partecipazione dell’interessato al procedimento non può essere relegata alla presenza fisica, ma impone la verifica della capacità di «partecipazione attiva e cosciente», così da consentire l’esercizio delle prerogative difensive.
Pur non individuando la durata temporale del «congruo termine», le Sezioni Unite ribadiscono che la traduzione, in linea con la Direttiva europea, deve avvenire tempestivamente e che, in ogni caso, nelle more della traduzione, tenendo conto della complessità del procedimento, del numero di imputati, della difficoltà di reperire un interprete e della rarità della lingua utilizzata, può essere attivata la tutela d’urgenza di cui all’art. 51-bis disp. att. c.p.p. innanzi ricordato, ferma restando la rinuncia al diritto all’assistenza linguistica.
In definitiva, le Sezioni Unite hanno aderito all’orientamento che ritiene il vizio linguistico idoneo a determinare una nullità a regime intermedio.
La portata innovativa e garantista della pronuncia in commento risulta, però, mitigata dall’applicazione di un principio che la giurisprudenza di legittimità ha spesso invocato, e che ridimensiona sensibilmente le conseguenze processuali della violazione della garanzia: si tratta del filtro del c.d. interesse a impugnare.
Invero, in materia di colloqui col difensore in sede cautelare, era stato affermato che, in caso di omessa nomina dell’interprete per conferire con l’avvocato, la violazione degli artt. 104, co. 4-bis e 143 c.p.p. potesse configurare una nullità ex art. 178, co. 1, lett. c) c.p.p. soltanto se idonea a determinare una «effettiva lesione del diritto di assistenza dell’imputato, il quale ha sempre l’onere di precisare il pregiudizio concretamente subito, allegando l’impossibilità di sviluppare argomenti o deduzioni, ovvero altra lacuna difensiva determinata dalla specifica carenza di informazione sul contenuto dell’accusa».
Tuttavia, nelle ipotesi di omessa traduzione del provvedimento restrittivo cautelare, in coerenza con la natura generale delle nullità a regime intermedio, secondo le Sezioni Unite l’interessato non può limitarsi a dolersi dell’omissione, ma «ha l’onere di indicare un interesse a ricorre re, concreto, attuale e verificabile», non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale.
Il criterio riguarda l’ampia materia delle impugnazioni e impone la verifica, in concreto, dell’interesse a dedurre una patologia processuale: esso sussiste «se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza dell’Ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo».
In definitiva, la Suprema Corte ha definito la traduzione per l’alloglotta vero e proprio «elemento costitutivo dell’atto» relativo al diritto alla comprensione, che impone la verifica di un interesse a ricorrere è ormai consolidato, e risponde anche ad esigenze di ordine pratico, poiché la traduzione ha un costo, materiale e tempo rale, per l’amministrazione giudiziaria.
Tale omissione integrerebbe un vizio così grave da doversi inquadrare nel paradigma della nullità assoluta, poiché essa si incarna non in un determinato atto, ma, a causa della influenza sulla valida costituzione del rapporto processuale, si irradia su di esso o una fase di esso con la conseguenza che il rapporto giurisdizionale, nato o divenuto invalido, rifiuta ogni possibilità di sanatoria.
Conclusioni
Nel primo decennio di vigenza della disciplina di derivazione europea, molte questioni sono rimaste irrisolte tra cui quello del riconoscimento giuridico degli Operatori Linguistici Forensi sempre confuso con quello dei Mediatori Culturali che nulla hanno a che vedere con chi è destinato ad operare nelle sedi giudiziarie acquisendo gli elementi di diritto penale necessari allo svolgimento dell’attività.
Per altri versi, la potestà per l’Autorità Giudiziaria di disporre della nomina dell’interprete sembrerebbe diretta a dimostrare che il Legislatore abbia avuto il fine di creare un meccanismo atto a rendere intellegibili e, soprattutto, affidabili, le affermazioni di un dichiarante spesso fondamentale per la risoluzione della “res judicanda» a prescindere dalla volontà della Vittima ma sempre allo scopo di poter esercitare il proprio diritto alla difesa in giudizio.
Nell’informare l’imputato e la vittima alloglotti, l’Autorità Giudiziaria competente deve tenere conto anche del livello di maturità intellettuale della stessa perché solo in questo modo potrà realizzarsi l’effettiva conoscenza dei diritti alla stessa spettanti.
Altri dubbi interpretativi deriverebbero dalla mancata previsione della impugnazione avverso la decisione che denega la stessa traduzione nonché la nomina dell’interprete per la persona offesa.
In questo modo, a differenza di quanto previsto dall’art. 7, par. 7 della Direttiva n. 29 del 2012, il Legislatore italiano avrebbe aggirato la previsione sul diritto all’impugnazione dei provvedimenti in materia sul presupposto del fatto che l’art. 586 c.p.p. già impone l’impugnazione dell’Ordinanza dibattimentale unitamente al gravame della sentenza.
Senza dimenticare che l’art.47 della Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea stabilisce che “ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione europea siano stati violati ha diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un Giudice”.