Il soccombente esegue spontaneamente la sentenza di primo grado: può poi fare appello?

Venerdi 8 Marzo 2019

La spontanea esecuzione della sentenza immediatamente esecutiva da parte del soccombente, anche se non accompagnata da una specifica riserva di gravame, non può considerarsi atto assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi del gravame avverso la suddetta sentenza.

Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6258/2019, pubblicata il 4 marzo scorso.

IL CASO: nella vicenda esaminata dai Giudici della Suprema Corte di Cassazione, l’INPS provvedeva al pagamento spontanea della somma relative a prestazioni previdenziali che erano state riconosciute in favore di una sua assistita con la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale.

Sull’appello promosso dall’Ente previdenziali, la Corte di Appello dichiarava cessata la materia del contendere sul presupposto che la parte appellata aveva dichiarato di aver ricevuto dall’ente di previdenza le prestazioni statuite con la suddetta sentenza senza nessuna espressa riserva da parte dell’INPS. Avverso la sentenza di secondo grado, quest’ultima interponeva ricorso per Cassazione.

LA DECISIONE: Con la decisione in commento, gli Ermellini hanno ritenuto fondato il ricorso e nell’accoglierlo con rinvio alla Corte di Appello, in diversa composizione, hanno osservato che

1) l’acquiscenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 cod.proc.civ. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita:

2) in quest’ultimo caso, l’acquiscenza può ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè gli atti stessi, siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione.

Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d’impugnazione non venga dalla medesima a quest’ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 cod.proc.civ. e 49 D.Lgs. n. 546 del 1992, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione”.

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