La prova in materia di revocatoria fallimentare.

Una recente sentenza del Tribunale di Napoli Nord, nel confermare l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, ha statuito che, in tema di revocatoria fallimentare, l’oggetto della prova è costituito non dalla mera conoscibilità, secondo i parametri oggettivi riconoscibili da un soggetto di media diligenza ed avvedutezza, ma da una concreta situazione psicologica (cd. conoscenza effettiva) dello stato di insolvenza.

Mercoledi 11 Novembre 2020

Tale conoscenza effettiva, se è vero che può essere provata anche mediante elementi indiziari idonei a dimostrare per presunzioni detta effettività (cfr. da ultimo Cass. 29257/2019), deve essere valutata anche tenendo conto, “alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza”, “della condizione professionale dell’accipiens" (Cass. 3081/2018).

Nel caso concreto la curatela del Fallimento aveva domandato la revoca dell’atto di compravendita immobiliare stipulato dai convenuti in virtù dell’art. 67 co. 2 l. fall., norma che consente la revoca dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, degli atti a titolo oneroso e di quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento purché il curatore provi che l'altra parte conoscesse lo stato d'insolvenza del debitore.

Il Tribunale di Napoli Nord ha ritenuto che non vi fosse prova che i convenuti conoscessero le risultanze della visura protesti, delle visure immobiliari e dei bilanci di esercizio della società fallita.

I convenuti, in difetto di elementi contrari, nemmeno potevano considerarsi dotati di specifiche competenze idonee a consentire loro una diversa o maggiore percezione dei sintomi rivelatori dello stato di decozione del debitore rispetto al quisque de populo, né potevano dirsi muniti di peculiari strumenti conoscitivi da cui poter desumere, in via presuntiva, tale conoscenza.

Secondo il ragionamento del Tribunale, non può infatti affermarsi di per sé che, in base al parametro della comune prudenza e dell’ordinaria diligenza, un privato debba premurarsi di acquisire le visure immobiliari, le visure protesti e bilanci dell’impresa immobiliare da cui sta acquistando un bene immobile. Inoltre, deve ritenersi altamente improbabile che il medesimo privato, privo di specifiche competenze professionali in materia, possa desumere, dalle risultanze di un bilancio di esercizio di una società di capitali, il suo eventuale stato di decozione.

Nel caso di specie è emerso, dunque, che i convenuti non fossero e non potessero essere a conoscenza, nel periodo al quale era riferibile l’atto di cessione, del fatto che la società fallita si trovasse in uno stato di dissesto tale che l’avrebbe portata ben presto allo stato di conclamata insolvenza né potessero ipotizzare che l’atto avrebbe potuto arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore, considerata anche la propria qualifica professionale all’epoca dei fatti, che ovviamente non consentiva loro di essere a conoscenza della reale situazione patrimoniale e finanziaria della società con la quale si trovavano in trattativa da anni e dalla quale ricevevano, in uno agli altri compratori, continue garanzie circa il tempestivo completamento dell’opera.

E’, infatti, opinione consolidata in giurisprudenza, condivisa anche dal Tribunale di Napoli Nord che, nei confronti di determinate categorie di soggetti, le caratteristiche personali di quest’ultimi costituiscano importanti strumenti di valutazione, ai fini della prova della cd. scientia decoctionis, non rilevando unicamente il dato temporale, ma anche le caratteristiche soggettive del creditore revocando.

In tema di revocatoria fallimentare, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità pressocchè unanime, la conoscenza dello stato d'insolvenza dell'imprenditore da parte del terzo dev'essere effettiva e non meramente potenziale, occorrendo la prova di concreti elementi di collegamento con detti indizi dai quali possa desumersi che il terzo, facendo uso della sua normale prudenza ed avvedutezza, e anche in considerazione delle condizioni in cui si è trovato concretamente ad operare, non possa non aver percepito la situazione di dissesto in cui versava il debitore.

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