Mobbing: responsabilità del datore di lavoro e onere della prova

Con l'ordinanza n. 16534/2021 la Corte di Cassazione si pronuncia in merito ai presupposti in presenza dei quali il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile del mobbing sul dipendente derivante da un superiore gerarchico.

Venerdi 10 Settembre 2021

Il caso: la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda avanzata da Tizia diretta ad accertare la condotta di mobbing dei superiori gerarchici nei suoi confronti e, di conseguenza, la responsabilita' della soc. Delta s.p.a., con condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni.

Tizia ricorre in Cassazione,  deducendo

  • violazione e falsa applicazione degli articoli 2087 e 1228 c.c., poiche' illegittimamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la soc. Delta s.p.a. non fosse tenuta a rispondere ex se per la condotta dei propri dipendenti, in mancanza di allegazioni e prove riguardo alla conoscenza da parte del datore di lavoro delle condotte lesive e all'inerzia da parte del medesimo riguardo alla loro rimozione;

  •  violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2049 c.c., anche in riferimento all'articolo 32 Cost., risultando la decisione in contrasto con il principio in forza del quale l'accertamento di un rapporto di necessaria occasionalita' tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli comporta l'insorgenza di una responsabilita' diretta a carico della societa' per i danni arrecati a terzi dagli agenti nello svolgimento delle incombenze loro affidate.

    Per la Corte le censure sono infondate in quanto:

    a)  la responsabilita' del datore di lavoro - su cui incombono gli obblighi ex articolo 2049 c.c. - non e' esclusa dalla circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente, posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, ove il datore di lavoro sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo;

    b) nel caso di specie la Corte territoriale aveva escluso, con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, che il datore di lavoro, identificabile con la direzione provinciale, fosse stato messo a conoscenza delle presunte condotte persecutorie nei confronti della dipendente.

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