Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia - e non quello di abuso dei mezzi di correzione - la consumazione da parte del genitore nei confronti del figlio minore di reiterati atti di violenza fisica e morale, anche qualora gli stessi possano ritenersi compatibili con un intento correttivo ed educativo.
Martedi 9 Settembre 2025 |
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 25518/2925.
Il caso: la Corte di appello di L'Aquila riformava parzialmente - quanto alla pena, che riduceva, e al beneficio della sospensione condizionale subordinata a percorsi di recupero, che concedeva - la sentenza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Pescara, che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato Mevia per il reato di maltrattamenti in famiglia, commesso in danno delle due figlie minorenni.
Mevia, tramite il proprio difensore, ricorre in Cassazione, deducendo, in sintesi, che:
il racconto contenuto nella denuncia sporta da una delle figlie rispecchiava peraltro il comportamento comune e naturale di una madre severa, nell'educazione della figlia, a fronte di discutibili comportamenti della minore;
il reato in esame richiede uno stato di soccombenza della vittima, con esclusione di quei casi in cui le aggressioni e vessazioni siano reciproche: alcuni testimoni avevano riferito della tendenza della ragazza a istigare verbalmente e fisicamente la madre e di mancarle di rispetto;
La Cassazione, nel rigettare il ricorso, sottolinea i seguneti principi:
a) integra il delitto di maltrattamenti in famiglia - e non quello di abuso dei mezzi di correzione - la consumazione da parte del genitore nei confronti del figlio minore di reiterati atti di violenza fisica e morale, anche qualora gli stessi possano ritenersi compatibili con un intento correttivo ed educativo proprio della concezione culturale di cui l'agente è portatore, in quanto l'uso sistematico di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del minore affidato, anche se sorretto da "animus corrigendi", configura il reato di cui all'art. 572 cod, pen.;
b) pertanto, non sono tollerate dall'ordinamento le condotte del genitore che travalichino i limiti dell'uso dei mezzi di correzione, potendosi ritenere tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tendano cioè alla educazione del figlio minore, quindi, allo sviluppo armonico della personalità, sensibile ai valori della tolleranza e della pacifica convivenza, senza trasmodare nel ricorso sistematico a mezzi violenti che tali fini formativi contraddicono;
c) di conseguenza, non può essere accolto l'argomento difensivo che cerca di giustificare il metodo educativo "violento" quale reazione a comportamenti viziati, maleducati o provocatori della figlia minore, ponendo madre e figlia in un rapporto di parità e di reciproche offese;
d) quanto poi alla mancanza di una situazione di "soccombenza", si è già affermato in sede di legittimità che, rispetto alla struttura del reato di cui all'art. 572 cod. pen., non è consentito introdurre un ulteriore elemento costitutivo rappresentato dall'instaurazione di un rapporto di soggezione della persona offesa, proprio perché la norma richiede esclusivamente che siano poste in essere atti idonei a "maltrattare" e, quindi, a provocare una sofferenza morale o psichica che, tuttavia, non deve necessariamente comportare che la vittima risulti soggiogata dall'autore del reato.
e) peraltro, nel delitto di maltrattamenti in famiglia, sotto il profilo del dolo, è sufficiente la sola consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima: tale dolo, nel caso di specie, non viene meno là dove le condotte siano state adottate per finalità educative;
f) proprio il ricorso ad un metodo educativo improntato alla sopraffazione e al ricorso alla violenza veniva a costituire il collante unificante, dal punto di vista del dolo, della condotta maltrattante.