L'indebito assistenziale determinato da motivi reddituali: ripetibilità e decorrenza

Avv. Carlo Alvano.

Tribunale di Reggio Calabria sez. lavoro, giudice Francesco De Leo sentenza 217/2020 del 22 novembre 2022

Lunedi 22 Maggio 2023

L'indebito assistenziale determinato da motivi reddituali, in mancanza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, e ciò a meno che non ricorrano ipotesi che a priori escludano un qualsivoglia affidamento, come nel caso di erogazione di prestazione a chi non sia parte di alcun rapporto assistenziale, nè ne abbia mai fatto richiesta.

Il FATTO

Un pensionato categoria invalidi civili si è lamentato che l’INPS avesse tardivamente applicata una riduzione della corrispondente erogazione per effetto del cumulo con la pensione di vecchiaia, per il periodo dall'01.01.2012 al 31.12.2012.
L’Inps ha resistito sostenendo che l’indebito derivasse dal superamento per l’anno 2012 dei limiti reddituali entro i quali poteva essere corrisposta la prestazione assistenziale, in ragione della percezione del quantum della pensione di vecchiaia a far data dal 08.2012.
Nel solco della giurisprudenza di legittimità la decisione ha condannato l’Inps alla restituzione per attività tardiva

LA DECISIONE

Mentre il Governo fa di tutto per aiutare i pensionati a preservare la soglia minima di sussistenza, c’è anche chi come l’INPS rema al contrario. Con una serie di controlli a tappeto, a distanza di molti anni, estrapolando tardivamente dati dall’Agenzia delle Entrate, come una mannaia e senza alcun preavviso taglia la pensione a poveri malcapitati, spesso invalidi o superstiti, per recuperare somme accumulatesi nel tempo. Il tutto senza alcuna preventiva contestazione o comunicazione di informazioni utili a verificare la correttezza della procedura. Al malcapitato di turno, non resta altro che affidarsi alle decisioni dei giudici.

Il problema non è nuovo ed il legislatore ha già da tempo posto dei freni, ma sembra che l’INPS non voglia intendere le disposizioni, peraltro avallate da numerosi precedenti giurisprudenziale e continua nella sua assurda condotta, aggravando il bilancio pubblico che pagano i cittadini. L’articolo 13 della legge 412 del 1991 prevede che le somme non dovute, erogate dall'INPS, non debbano essere restituite, a meno che l’errore non sia attribuibile all’interessato. Tanto perché nella riforma del settore previdenziale fu introdotta una normativa di carattere speciale in deroga al disposto di cui all’art. 2033 c.c. con rif. all’art. 1886 in base alla quale, l’art. 52 della Legge n. 88/1989 con la successiva norma di interpretazione autentica di cui all’art. 13 della Legge n. 412/1991 dispone che: «Le pensioni (...) possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione. Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato. Il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave».
Per cui, anziché di agire nei confronti dell’eventuale funzionario resosi responsabile degli omessi controlli, è più facile aggredire l’assistito. La giurisprudenza di legittimità, ex multis Cassazione n. 482 dell’11 gennaio 2017 della Sezione Lavoro, ha espressamente affermato che «l’art. 52 della Legge n. 88/89, è espressione di un principio generale di irripetibilità delle pensioni (Cass. n. 328/02), perché la disciplina della sanatoria è globalmente sostitutiva di quella ordinaria di cui all’art. 2033 c.c., le pensioni possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione o di erogazione della pensione, ma non si fa luogo al recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita prestazione sia dovuta a dolo dell’interessato».
Quindi è il dolo che va ricercato ed è ovvio che se vi è stato non vi può essere comprensione.

Molto spesso l’INPS decade dall’azione, in quanto l’art. 13 comma 2 l.cit. dispone che la verifica annuale della situazione reddituale e la successiva contestazione debba avvenire entro l’anno successivo a quello nel quale è stata resa la dichiarazione reddituale, laddove i termini ad anno si calcolano secondo l’art. 152, c. 2, c.p.c., vale a dire che scadono lo stesso giorno dell’anno successivo. Ma di tanto non si fa carico.

Con una recente sentenza del 22/11/2022 il Giudice Francesco De Leo del Tribunale di Reggio Calabria, facendo applicazione dei predetti principi, ha accolto il ricorso proposto dall’Avv. Marina Musolino ed ordinata la restituzione del maltolto dal 2013 ad una pensionata di invalidità civile, condannando l’INPS al pagamento delle spese di giudizio. Ma quanti di questi casi sono rimasti inascoltati per l’impossibilità delle vittime a trovare avvocati competenti nello specifico settore, peraltro disposti ad anticipare spese e lavoro? E chi risarcisce le vittime del dolore e del danno psicologico subito? L’abuso di posizione dominante nei confronti di soggetti fragili, in un periodo sociale pandemico di altissima inflazione e depauperamento, non giova al nostro Paese. Piuttosto ci piacerebbe sapere quanti sono i funzionari colpiti, come prevede la legge, per non avere effettuati i dovuti controlli alla ricerca di dolo o colpa grave. Troppo facile scaricare le responsabilità su cittadini inermi. Ci auguriamo un cambio di rotta, non solo politico e che, il bilancio pubblico pagato con i nostri soldi non sia aggravato da condotte imprudenti.

Risorse correlate:

Pagina generata in 0.091 secondi