Con l’ordinanza n. 297/2020, pubblicata il 9 gennaio 2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui criteri di ripartizione dell’onere probatorio nel caso in cui, una volta ricevute le fatture, l’utente della fornitura di energia elettrica, contestando gli addebiti per il malfunzionamento del contatore, non provvede al pagamento degli importi in esse contenuti e l’azienda erogatrice proceda giudizialmente per il recupero forzoso.
Martedi 14 Gennaio 2020 |
IL CASO: La vicenda nasce dal decreto ingiuntivo emesso in favore di una società nei confronti di un suo cliente per il mancato pagamento di alcune fatture per la fornitura di energia elettrica erogata in favore di quest’ultimo.
Il decreto veniva opposto dal cliente ingiunto, il quale eccepiva, tra l’altro, che una delle fatture azionate era di un importo di gran lunga superiore a quello delle altre. Il Tribunale, ritenendo provata la pretesa della società, rigettava l’opposizione e la sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte di Appello in sede di gravame proposto dal cliente.
Pertanto, avverso la sentenza della Corte di Appello, quest’ultimo interponeva ricorso per Cassazione.
LA DECISIONE: La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha ribadito i criteri di riparto dell’onere probatorio fissati dagli stessi giudici di legittimità nel caso di contestazione degli importi addebitati in fattura dalle società erogatrice dell’energia elettrica o del gas (cfr. ordinanza n. 13605/2019 del 21/05/2019).
Secondo gli Ermellini:
il contatore, quale strumento deputato alla misurazione dei consumi, è accettato consensualmente dai contraenti come meccanismo di contabilizzazione, pertanto, di fronte alla pretesa creditoria formulata dalla società erogatrice spetta all’utente dimostrare che l’inadempimento non è a lui imputabile, ai sensi dell’art. 1218 c.c.;
poiché le disfunzioni del contatore dipendono da guasti per lo più occulti che comunque necessitano di verifiche tecniche non eseguibili dal debitore in quanto sprovvisto delle necessarie competenze, in applicazione del principio di vicinanza della prova, incombe sull’utente l’onere di contestare il malfunzionamento del contatore richiedendone la verifica, fornendo la prova sui consumi effettivamente effettuati nel periodo di riferimento, mentre incombe sul gestore l’onere di dimostrare che il contatore è regolarmente funzionante;
nel caso in cui il contatore risulti regolarmente funzionante, l’utente deve dimostrare non solo che il consumo di energia è imputabile a terzi, provando ad esempio la propria prolungata assenza dal luogo in cui è ubicata l’utenza, e che si è verificato contro la sua volontà, ma anche che l’impiego abusivo dell’energia da parte di terzi soggetti non è stato agevolato da condotte negligenti a lui imputabili, di aver adottato idonee misure di controllo tese ad impedire, mediante l’uso della comune diligenza, la condotta illecita dei terzi;
inoltre, l’utente deve provare che nessun altro aveva l’accesso al luogo in cui era installata l’utenza e, quindi, deve fornire la prova che l’uso abusivo della utenza è avvenuto per forza maggiore o caso fortuito.
In applicazione dei suddetti criteri, la Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha ritenuto la sentenza impugnata conforme a diritto e nel rigettare il ricorso ha osservato che, nel caso esaminato, l’utente non aveva allegato il malfunzionamento del contatore richiedendone la verifica, nè era stata fornita la prova sui consumi di energia che aveva effettuato nel periodo in contestazione, nè dimostrato, in alternativa, che il sovraconsumo era imputabile a terzi e che lo stesso si era verificato contro il suo volere, nè che l’impiego abusivo di energia da parte di terzi soggetti sia stato agevolato da condotte negligenti, imputabili all’utente, né la prova di aver adottato idonee misure di controllo intese ad impedire la condotta illecita dei terzi, mediante l’uso della comune diligenza.