C'è un contatore che fa tanto male quando si parla di tutela dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ed é quello che registra i suicidi nelle Carceri italiane il cui numero è in costante aumento e sono già diventati 55 quest'anno fino a Ferragosto.
Martedi 26 Agosto 2025 |
Come segnala, lodevolmente, il Prof Luigi Gatta sulla Rivista Sistema Penale, è possibile consultare il “ContaSuicidi”, aggiornato in tempo reale, sul sito della Rivista Ristretti Orizzonti che riporta puntualmente i dati del grave fenomeno di cui si discute, spesso a sproposito, da qualche tempo ed a vari livelli senza ipotizzare una soluzione efficace.
Un’altrettanta meritoria iniziativa di sensibilizzazione si deve anche all'Unione delle Camere Penali Italiane, che ha pubblicato il tragico elenco sul proprio sito.
Vanno, inoltre, segnalati i Report statistici e gli Studi pubblicati sulla delicata materia da vari Esperti del settore carcerario, di cui si dirà infra.
Tra i più recenti, assume un importante rilievo quello della benemerita Associazione Antigone, sempre attenta a cogliere e denunciare all’Opinione Pubblica le disfunzioni del nostro Sistema Carcerario, ma anche quello del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, pubblicato sul sito istituzionale.
Invero, la pubblicazione di quest'ultimo Report ha suscitato la reazione del Ministero della Giustizia, che, con un comunicato dello scorso 11 agosto, ha persino negato l’evidenza ossia l'esistenza di un "allarme" legato ai suicidi, così smentendo il Garante Nazionale che, ricordiamo, é preposto alla tutela dei detenuti e del loro trattamento nelle Carceri.
Tuttavia, la stessa Autorità, a sua volta, a seguito dell’inusuale comunicato del Ministero, ha ritenuto di pubblicare il giorno stesso una precisazione, che ha sollevato altre critiche, smentendo l'esistenza di un presunto" allarme" suicidi, nonostante che altri autorevoli Organismi affermino il contrario.
In particolare, la Giunta dell'Unione delle Camere Penali Italiane, con l’ausilio del suo Osservatorio Carcere, ha pubblicato sulla vicenda un proprio Comunicato molto critico della attuale situazione carceraria.
Anche il Prof. Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone, si è espresso in senso fortemente critico rispetto al tentativo di negare un'evidente emergenza, che prosegue dopo l'anno nero del 2024 che aveva già registrato un rekord dei suicidi in carcere.
Un'emergenza che era stata evidenziata anche nel Messaggio di fine anno 2024 dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sulla base del documento congiunto emanato dall’ Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale e dall 'Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale G.D.Pisapia",
Nell’autorevole Messaggio, il Presidente Mattarella aveva ricordato agli Operatori del settore l’importanza del "rispetto della dignità di ogni persona, dei suoi diritti, anche per chi si trova in carcere atteso che l’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili".
Inoltre, la stessa Consulta, nella recente sentenza n.139/2025,dep.il 29 luglio, ha evidenziato quanto sia "essenziale che la pena detentiva sia eseguita in.condizioni rispettose della dignità della persona e del principio di umanità della pena.Condizioni, queste, che è preciso dovere del Legislatore e della Aamministrazione penitenziaria assicurare, con riguardo a tutti coloro che si trovano nelle carceri italiane".
La stessa premura, ricorda il Prof Gatta, va rivolta anche nei confronti di coloro che decidono di porre fine alla propria vita mentre sono ristretti in carcere poiché “non si tratta di attribuire responsabilità al Governo pro tempore ma si tratta di affrontare e risolvere, responsabilmente, un'emergenza che non può essere negata o minimizzata”.
Sul punto lo stesso Presidente Mattarella nel suo intervento, aveva ricordato che“il numero dei suicidi è indice della esistenza di condizioni carcerarie inammissibili, tra cui va annoverato quello del sovraffollamento delle carceri”, che, tuttavia, il Ministro del la Giustizia in carica ha pubblicamente inquadrato come un “problema diverso e non correlato”, affermando, sulla Stampa, che "paradossalmente il sovraffollamento è una forma di controllo atteso che alcuni tentativi di suicidio sono stati sventati proprio dai compagni di cella" (come ha riferito, di recente, Gianni Alemanno, ristretto a Rebibbia ma anche acuto osservatore della situazione dei compagni detenuti, con una lettera riportata nelle pagine della Rivista il Dubbio -NdR). .
Eppure lo stesso Garante Nazionale dei detenuti, nominato su proposta dello stesso Ministro in carica, nel suo Report aveva sottolineato la correlazione statistica tra l'incidenza percentuale dei suicidi, nei diversi Istituti, e il tasso di sovraffollamento.
A pagina 20 del Report, riportando un dato mai smentito, si legge che "Un’ultima, breve, nota riguarda l’impatto del sovraffollamento sull’andamento degli eventi critici per cui (secondo l’analisi comparativa riportata nella tabella relativa agli eventi critici di maggiore rilievo), è ipotizzabile che all’aumentare del sovraffollamento si possa associare un incremento degli stessi ed, in particolare, di quegli eventi critici che, più di altri, sono espressione del disagio detentivo”, tra cui vanno incluisi gli “atti di aggressione, autolesionismo, suicidi, tentativi di suicidio, omicidio, manifestazioni di protesta collettiva, le aggressioni fisiche al personale di Polizia Penitenziaria e al personale amministrativo".
Ed, infine, il medesimo Garante ricorda che nei 54 Istituti in cui si sono verificati suicidi nel 2024,51 registravano un indice di sovraffollamento superiore al 100 (Sic !!).
Sulla importante questione e sulle cause del fenomeno non è mancata l’analisi degli Studiosi esperti della materia.
Tra esse va annoverata quella dello Psicologo Vito Michele Cornacchia, che ha lavorato in diversi istituti penitenziari d’Italia, il quale, sulle pagine della Rivista Fanpage con il commento di Giorgia Venturini, ha analizzato il recente caso di Stefano Argentino, in carcere con l’accusa del femminicidio di Sara Campanella, e morto suicida benché il prossimo 10 settembre sarebbe iniziato il processo nei suoi confronti.
Fin da subito il ragazzo aveva espresso l’intenzione di togliersi la vita tanto che, appena entrato in carcere, era scattata l’Alta sorveglianza che, tuttavia, gli era stata tolta 15 giorni prima del suicidio e per tale ragione sono state indagate sette dipendenti, tra cui la Direttrice e la Vicedirettrice del Carcere.
Sull’episodio lo Studioso ha fornito una possibile spiegazione degli errori commessi nei confronti del giovane suicida rispondendo ad alcuni interrogativi.
Proteggere l’incolumità, la salute e la prevenzione del rischio di autolesionismo e/o suicidario dovrebbero essere gli elementi della ‘normalità’ all’ingresso del detenuto in carcere, sia per il dettato Costituzionale e le norme UE sia per il mandato dell’Ordinamento Penitenziario che affida la responsabilità della tutela del detenuto agli Organismi preposti alla sorveglianza della detenzione.
Cornacchia ricorda che“la valutazione del rischio anti-conservativo che sfida l’istinto di conservazione, tipico dell’essere umano, non è mai affidata al singolo operatore ma ad un’équipe multi-professionale che si riunisce ad hoc, a seconda dei casi, anche quotidianamente se il rischio è elevato”.
All’ingresso in Istituto la persona ristretta viene immatricolata e l’operatore è tenuto a chiedere se ha problemi con altri detenuti;effettua riscontri su eventuali precedenti carcerazioni o situazioni critiche evidenziate dal fascicolo personale ed informa gli altri Operatori circa la tipologia del reato.
Il detenuto viene di seguito visitato dal medico e dallo psichiatra che somministrano scale specifiche per la valutazione del rischio e valutano, in prima battuta, la necessità dell’’attenzionamento’ (ex grande sorveglianza), informando tempestivamente la Direzione del Carcere e il ‘Responsabile della Sorveglianza’, presente in quel momento.
Contemporaneamente il ristretto effettua colloqui con il funzionario giuridico- pedagogico e lo psicologo e tale funzione, in qualche Istituto, viene svolta a volte dallo stesso Direttore e/o dal Comandante di reparto che ‘accolgono’ il nuovo detenuto.
Ogni Operatore elabora, quindi, una scheda secondo le proprie competenze professionali che dovrebbe confluire in una cartella relativa al rischio di autolesionismo e suicidario.
Nel caso di un elevato indice di rischio, viene convocato ‘immediatamente’ lo Staff multidisciplinare straordinario per le decisioni (sostegno, attenzionamento, sorve glianza a vista e, soprattutto, se può il detenuto‘stare da solo in cella’) e l’organizzazione degli interventi (allocazione, visite quotidiane dei vari specialisti, anche in cella, eventuale ricorso al supporto dei volontari per i bisogni essenziali ecc.).
Il punto è questo e lo Studioso si chiede se il percorso sopracitato della persona ristretta all’ingresso in Istituto è attuato in tutte le carceri italiane.
Secondo l’Esperto, alla luce della esperienza, quasi trentennale, maturtata ed, in particolare presso la Casa Circondariale di Lucca, è spesso capitato che il nuovo giunto si trovasse in imbarazzo dal numero di colloqui effettuati con i vari operatori, nel giro di poche ore o di un giorno, adducendo che, in altre realtà carcerarie, la situazione era completamente diversa e gli Operatori si vedevano di rado o dopo mesi.(!!).
Va sottolineato, inoltre, che in molte Regioni italiane, tra cui primeggia la Toscana, esistono dei protocolli specifici per il disagio psichico e per la prevenzione del rischio anticonservativo con riserva di fondi per l’assunzione di psicologi, ahimè annuali, da destinare in vari istituti, secondo criteri statistici.
Sul punto.lo Studioso, sulla base della propria esperienza, ritiene che i fattori predittivi e l’intenzionalità anticonservativa con indice elevato di rischio all’ingresso, non si esauriscono in quindici giorni, soprattutto per la tipologia del reato, aggravato dal verosimile forte senso di colpa e dalla probabile presenza di un processo privo di futuro con vissuti negativi costanti.
Questi indicatori possono emergere in una vera presa in carico psicologica di elevato spessore professionale.
In questo caso, le risorsa utili per avere un quadro ‘ad ampio spettro’ possono essere la somministrazione di un test di personalità multifattoriale insieme a scale per la depressione e la C-SSRS (Columbia-Suicide Severity Rating Scale) che nell’identificazione dei fattori di rischio oltre alla storia personale e familiare si occupa dello stato mentale e degli ‘stressor recenti’ insieme alla valutazione del comportamento, delle idee suicidarie, delle risorse e dei fattori protettivi, dove in ultima analisi, si possono sviluppare indicazioni per eventuali azioni da intrapren dere in condivisione con altri Operatori.
Questo comporterebbe un valutazione-rivalutazione da effettuare in tempi lunghi con l’intervento ‘quotidiano’ dei vari operatori tacciando ‘piccoli passi’ in un segmento di disagio e sofferenza estrema anche se apparentemente celata in comportamenti ‘adeguati’.
Appare evidente che proteggere la vita di una persona è abbastanza complesso, se poi si ammette che nel sistema penitenziario le figure professionali “vanno e vengono’ e gli psicologi e gli psichiatri si contano su poche decine, per cui risulta problematico regolarizzare un servizio per i Nuovi Giunti che dovrebbe essere il punto di partenza del percorso di integrazione della persona proveniente dalla libertà con pochi operatori e la situazione del sovraffollamento.
Ma vi è di più. Traspare da quanto innanzi descritto una grrave disparità di percorsi e di interventi tra Carcere e Carcere, ossia una sorta di disomogeneità che rimanda alle scelte del DAP che favoriscono interrogativi sulla sua qualità organizzativa e decisionale.
In particlare.in relazione al caso Argentino, risulterebbe affrettata la decisione di togliere l’attenzionamento dopo quindici giorni sulla base di un semplice presunto comportamento nella norma, atteso che nella complessità di talune situazioni, è necessario svolgere opportuni e specifici interventi valutativi che hanno bisogno di un monitoraggio costante e di tempi adeguati in una vera e propria presa in carico della persona che può durare anche mesi con una graduazione del livello per es. da Sorveglianza a vista.
Secondo Cornacchia, in taluni casi non può mai essere lo psicologo a togliere l’attenzionamento o la sorveglianza a vista ma l’Equipe o lo Staff multidisciplinare.
Lo psicologo, come altri specialisti, partecipa alle attività suggerendo i suoi indicatori tecnico-professionali e le sue valutazioni alla decisione collegiale.
Nell’Ordinamento penitenziario è previsto l’Esperto ex articolo 80 che dovrebbe interessarsi del Nuovo Giunto e dei detenuti definitivi ma in molte realtà si fa confusione sul ruolo e magari si affida ex articolo 80 solo l’osservazione scientifica della personalità e si delega allo specialista psicologo dell’ASL, quando c’è, o nel caso della Regione Toscana agli specialisti convenzionati per l’assistenza psicologica.
Inoltre, in quasi tutte le carceri esistono gli psicologi dei Servizi per le dipendenze patologiche ma naturalmente si tratta di numeri esigui che non possono soddisfare le necessità impellenti, come nel caso del rischio suicidario.
Sempre secondo Cornacchia, dopo la sorveglianza a vista (che può durare alcuni giorni) si dovrebbe graduare con il livello di ‘Attenzionamento’ (se può stare da solo o non) per un lungo periodo sino all’inserimento lavorativo del detenuto.
Al contrario, quando la situazione è critica e gli interventi risultano vani si dovrebbe attuare il ricovero presso l’SPDC proprio per la prevalenza del diritto alla salute e della vita della persona.
Per tali soggetti l’isolamento, in genere, è previsto per un massimo di 15 giorni ma non è il caso di una persona a rischio anti-conservativo, anzi si dovrebbero fare i famosi ‘piccoli passi’ grazie alla presa in carico della persona e favorire l’integrazione con gli altri detenuti.
Nel caso specifico, proprio per la tipologia del reato, che paventa un rischio di violenze da parte degli altri detenuti, funzionerebbe in tale direzione la presenzaa di volontari ad hoc, scelti tra gli stessi detenuti, che potrebbero favorire il processo d’integrazione insieme al graduale superamento del disagio con la partecipazione attiva e quotidiana di tutti gli operatori.
Per tali ragioni il detenuto non dovrebbe mai essere lasciato solo, in nessun momento della giornata!!!
Ne costituisce riprova il fatto che, alcuni anni fa, nel carcere di Prato, proprio come nel caso Argentino, un detenuto ad alto rischio suicidario, approfittò dell’uscita dei compagni di cella per togliersi la vita.
Secondo lo stesso Cornacchia, ogni giorno si parla di sovraffollamento e di suicidi in carcere ma si parla poco dell’organizzazione ‘pratica’ dei servizi per la tutela della persona e dei diritti umani.
In tal modo si potrebbero salvare tante vite umane superando la generalizzazione di un problema quale il sovraffollamento che persiste da anni, come causa di tutto, occupandosi nello specifico dell’organizzazione e verifica dei protocolli sul rischio suicidario, sulla effettiva necessità di aumentare il numero di psicologi e psichiatri (con preparazione professionale specifica) e sulle responsabilità di chi non svolge il proprio dovere (!!).