Breve analisi della disciplina delle clausole vessatorie

La disciplina delle clausole vessatorie, primariamente contenuta nel D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), rappresenta un pilastro fondamentale per la tutela del consumatore nei rapporti contrattuali con i professionisti.

Mercoledi 31 Dicembre 2025

Questa normativa recepisce la Direttiva 93/13/CEE, e mira a riequilibrare le posizioni contrattuali, sanzionando le pattuizioni che generano un’alterazione sostanziale dei diritti e degli obblighi a svantaggio della parte debole del rapporto.

1. La nozione di vessatorietà e l’ambito di applicazione

Il Codice del Consumo definisce il perimetro di applicazione della tutela, circoscrivendola ai contratti stipulati tra un “consumatore” (persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta) e un “professionista” (soggetto che agisce nell’esercizio della propria attività economica organizzata). Il cardine della disciplina è l’articolo 33, comma 1, del Codice del Consumo, il quale stabilisce che: «Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto». La valutazione della vessatorietà dev’essere condotta tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto, e facendo riferimento a tutte le circostanze esistenti al momento della sua conclusione, e alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro ad esso collegato (art. 34, co. 1).

2. Criteri di valutazione e oggetto del sindacato giurisdizionale

La giurisprudenza e la normativa hanno chiarito che il sindacato sulla vessatorietà non riguarda la convenienza economica dell’affare, ma l’equilibrio giuridico e normativo tra le parti. L’articolo 34, comma 2, del Codice del Consumo esclude esplicitamente che la valutazione del carattere vessatorio possa attenere alla determinazione dell’oggetto del contratto o all’adeguatezza del corrispettivo, a condizione però che tali elementi siano “individuati in modo chiaro e comprensibile”. La Corte di Cassazione, interpretando la normativa di derivazione europea, ha ribadito questo principio, sottolineando che la mancanza di chiarezza e comprensibilità di tali clausole può estendere l’ambito della valutazione di abusività anche a questi aspetti (Cass. civ., sez. I, n. 23655 del 31.08.2021, § 2.4.1).

3. Le “liste” di clausole vessatorie

Per agevolare l’identificazione delle pattuizioni abusive il legislatore ha previsto due elenchi di clausole:

(i) la “lista grigia” (art. 33, comma 2, Cod. Cons.): questo elenco contiene una serie di clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria; spetta, cioè, al professionista dimostrare che la clausola non è vessatoria, ad esempio provando che è stata oggetto di una specifica trattativa individua. Tra le clausole più comuni rientrano quelle che: -) escludono o limitano le azioni del consumatore in caso di inadempimento del professionista; -) consentono al professionista di trattenere somme versate dal consumatore in caso di recesso di quest’ultimo, senza prevedere una reciprocità a favore del consumatore se a recedere è il professionista; -) impongono al consumatore, in caso di inadempimento, il pagamento di una penale di importo manifestamente eccessivo; -) riconoscono al solo professionista la facoltà di recedere dal contratto;

(ii) la “lista nera” (art. 36, comma 2, Cod. cons.): questo elenco individua clausole che sono sempre nulle, anche qualora siano state oggetto di specifica trattativa. Si tratta di clausole considerate talmente pregiudizievoli da non ammettere alcuna prova contraria. Rientrano in questa categoria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di:

-) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore;

-) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista in caso di inadempimento;

-) prevedere l’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.

4. Cause di esclusione della vessatorietà

La vessatorietà di una clausola può essere esclusa in determinate circostanze:

-) trattativa individuale: non sono considerate vessatorie le clausole che sono state oggetto di una trattativa individuale; tuttavia, nei contratti conclusi mediante moduli o formulari, l’onere di provare che la clausola è stata oggetto di una “specifica trattativa” con il consumatore incombe sul professionista. La giurisprudenza di merito ha precisato che tale trattativa deve essere seria, effettiva e consentire al consumatore di influenzare concretamente il contenuto della clausola;

-) riproduzione di disposizioni di legge: non sono vessatorie le clausole che si limitano a riprodurre disposizioni di legge o principi contenuti in convenzioni internazionali. A questo proposito, la Corte di Cassazione ha chiarito che la clausola risolutiva espressa non ha carattere vessatorio ai sensi dell’art. 1341 c.c., perché non rientra nell’elenco tassativo. E anche nel contesto consumeristico, può non essere considerata vessatoria se si limita a riprodurre una disciplina legale, come – ad esempio - nel caso dell’art. 1924 c.c. in materia assicurativa, che prevede la risoluzione di diritto del contratto per mancato pagamento dei premi;

-) forma dell’atto: la Corte di Cassazione ha stabilito che le clausole inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, anche se conformi a condizioni predisposte da uno dei contraenti, non si considerano “predisposte” ai sensi dell’art. 1341 c.c. e, pertanto, non necessitano di specifica approvazione per iscritto, assumendo il valore di clausole concordate tra le parti (Cass. civ., sez. II, n. 16201 del 16.06.2025, § 1). Va ribadito che, nell’ambito dei contratti con i consumatori, la doppia sottoscrizione richiesta dall’art. 1341, comma 2, c.c. è un requisito puramente formale e non è sufficiente a escludere la valutazione sostanziale di vessatorietà ai sensi del Codice del Consumo.

5. La “nullità di protezione” e gli aspetti processuali

Le clausole dichiarate vessatorie sono colpite da una forma di nullità speciale, definita “nullità di protezione”, prevista dal legislatore a tutela di una parte considerata “debole” all’interno di un rapporto contrattuale caratterizzato da asimmetria di potere economico o informativo (gli esempi tipici sono appunto il consumatore, l’investitore, il lavoratore). Viene definita dalla Cassazione “una specie del generale istituto della nullità “ e si differenzia dalla nullità ordinaria del Codice civile per un regime giuridico peculiare, volto a riequilibrare la posizione delle parti. Le sue caratteristiche principali sono:

-) nullità parziale: la nullità colpisce solo la singola clausola, mentre il resto del contratto rimane valido ed efficace (Cod. cons, art. 36);

-) legittimazione relativa: la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere fatta valere solo da quest'ultimo;

-) rilevabilità d’ufficio: nonostante la legittimazione relativa, il giudice ha il potere e il dovere di rilevare d'ufficio la nullità, anche in assenza di una specifica eccezione del consumatore (Cod. cons, art. 36, co. 3); tale potere si giustifica con la natura “ancipite” di questa nullità, che tutela non solo l'interesse del singolo contraente debole, ma anche interessi di ordine pubblico come il corretto funzionamento del mercato e l’uguaglianza formale tra le parti (artt. 41 e 3 Cost.).

Il rilievo d'ufficio, tuttavia, non porta a una declaratoria automatica. Il giudice, una volta rilevata la potenziale nullità, deve segnalarla alle parti. La declaratoria è quindi condizionata all’interesse del consumatore, il quale, una volta informato, può decidere di non avvalersene, optando per la conservazione della clausola qualora la ritenga conveniente. Se il consumatore si oppone alla declaratoria, il giudice non può procedere (Cass. civ., Sez. II, n. 9434 del 10.04.2025, part. § 6).

Sul piano processuale, la contestazione della vessatorietà di una clausola deve essere gestita con attenzione, specialmente in sede di gravame. La Corte di Cassazione ha infatti sottolineato che:

-) una questione giuridica che implica un accertamento di fatto, come la valutazione della vessatorietà, non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità se non è stata trattata nei gradi di merito. Il ricorrente ha l’onere di dimostrare di averla sollevata in precedenza (così argomentando da Cass. civ., sez. II, n. 973 del 16.01.2019, §10);

-) per denunciare in Cassazione la mancata valutazione della natura vessatoria di una clausola, il ricorrente deve rispettare il principio di autosufficienza, riportando nel ricorso il contenuto specifico delle clausole contestate per consentire alla Corte di valutarne la portata, senza dover esaminare gli atti dei precedenti gradi di giudizio; la Corte ha inoltre ribadito che l’elenco di cui all’art. 1341, comma 2, c.c. è suscettibile di interpretazione estensiva, ma non analogica (Cass. civ., Sez. II, n. 21230 del 19.07.2023, § 4.1);

-) l’interpretazione di una clausola contrattuale (in genere) è un’attività riservata al giudice di merito e può essere censurata in Cassazione solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica o per vizi di motivazione, non per il semplice fatto che fosse possibile un’interpretazione diversa da quella accolta (Cass. civ. sez. lav., n. 1840 del 17.01.2024, §10);

-) l’esercizio del diritto a far valere la nullità di protezione è comunque soggetto al limite della buona fede e al divieto di abuso del diritto. Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che l’azione di nullità non può essere utilizzata in modo “selettivo” od opportunistico, ad esempio per liberarsi da un contratto divenuto non più conveniente, quando l’interesse che la norma intendeva proteggere è già stato soddisfatto o non è più a rischio (Cassazione civile sez. un.,04.11.2019, n. 28314).


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