Corte Costituzionale - Sentenza n. 78 2012 - parte2

Parte 2.
Sabato 7 Aprile 2012

Segue....

 

9.9.- Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 13 aprile 2011 (r.o. n. 258 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 47, 101, 102, 104, 111, 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale della medesima norma censurata dalle ordinanze precedentemente illustrate.

In punto di fatto, il rimettente espone che Adria Trading. s.r.l., in liquidazione, aveva convenuto in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro, s.p.a., agenzia di Mestre, chiedendo, previa declaratoria di nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, delle commissioni di massimo scoperto, delle spese e degli interessi ultralegali, la condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite in ordine ai diversi rapporti bancari intercorsi tra le parti dal 1993 al 2003; che, costituitasi in giudizio, la banca aveva eccepito la genericità della domanda e la prescrizione decennale dell'azione di ripetizione dell'indebito, in quanto decorrente dalla data di annotazione di ogni singola posta; che era stata disposta CTU contabile, considerando sia l'ipotesi della capitalizzazione annuale che quella senza capitalizzazione, con scorporo della commissione di massimo scoperto; che, nelle more del giudizio, era entrata in vigore la legge di conversione n. 10 del 2011, con introduzione dell'art. 2, comma 61.

In punto di rilevanza, il rimettente osserva che, se la nuova norma dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre non già dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente (come affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 24418 del 2010), ma dal giorno della singola annotazione, sarebbe prescritto il diritto dell'attore alla ripetizione degli importi versati a titolo solutorio ed annotati in data anteriore al 1997, ovvero oltre dieci anni prima della data di notificazione della richiesta stragiudiziale di restituzione dell'indebito (con raccomandata notificata alla banca il 19 dicembre 2007). Inoltre, se la seconda parte della norma dovesse interpretarsi nel senso che, nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente, ciascuna delle parti può non restituire gli importi, anche non dovuti, già versati alla data dell'entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011, la conseguenza sarebbe il rigetto totale della domanda di restituzione dell'indebito, essendo stato il rapporto consensualmente chiuso in data 31 dicembre 2003.

In via preliminare, il rimettente osserva che, quanto alla prima parte dell'art. 2, comma 61, la decorrenza della prescrizione dalla data dell'annotazione sarebbe riferita ai «diritti nascenti dall'annotazione in conto» e non già all'azione di ripetizione dell'indebito, che presupporrebbe un atto "solutorio", non ravvisabile nell'annotazione in conto. Pertanto, la norma non contrasterebbe con quanto affermato dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nella sentenza n. 24418 del 2010, sulla decorrenza della prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito dalla chiusura del conto, se ci siano stati solo versamenti "ripristinatori", in quanto l'art. 2, comma 61, concernerebbe la decorrenza della prescrizione dei diversi «diritti nascenti dall'annotazione in conto».

In ordine alla seconda parte dell'art. 2, comma 61, il rimettente osserva che la norma non assumerebbe alcun carattere interpretativo, perché essa derogherebbe, con riferimento ai soli rapporti di conto corrente bancario, all'art. 2033 cod. civ. e, conseguentemente, non potrebbe avere alcuna valenza retroattiva.

Inoltre, la sua formulazione lessicale non consentirebbe l'applicazione alle ipotesi riguardanti la tutela dei diritti alla ripetizione nascenti da "pagamenti" su conto (e non da annotazioni su conto).

Il rimettente solleva, quindi, la questione di legittimità costituzionale «in ipotesi di ritenuta applicabilità tout court della duplice nuova norma anche alle questioni in esame».

In primo luogo, il giudice a quo assume la violazione dei limiti costituzionali all'ammissibilità delle norme interpretative. Infatti, la norma censurata si porrebbe, in riferimento all'art. 2935 cod. civ., in funzione "derogativa ed innovativa" - in aperto contrasto con l'orientamento giurisprudenziale in materia confermato dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 24418 del 2010 - e, in riferimento all'art. 2033 cod. civ., in funzione "derogativa".

In particolare, il rimettente ritiene la norma in contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto si porrebbe come norma "particolare" in deroga, senza adeguata giustificazione, a disposizioni dell'ordinamento di carattere generale, annullando del tutto (con l'esclusione del diritto alla ripetizione) i diritti che sarebbero conseguiti a tutela degli interessi lesi in danno del contraente debole e salvando soltanto e paradossalmente il contraente forte, con incisione, peraltro, sui soli conti correnti bancari.

Il giudice a quo assume, altresì, la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza, in quanto la preclusione di ogni azione di ripetizione delle somme indebitamente versate, alla data della entrata in vigore della legge di conversione, comporterebbe una ingiustificata compressione del diritto di ripetere l'indebito, per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla menzionata soglia temporale e non anche per chi non versi ancora nella predetta situazione giuridica.

Ad avviso del rimettente sarebbero violati anche gli artt. 24 e 111 Cost., con riferimento al principio inderogabile della effettività della tutela giudiziaria e del giusto processo, nonché gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il profilo della invulnerabilità delle funzioni proprie, costituzionalmente riservate al potere giudiziario, in quanto: 1) il legislatore, mediante l'introduzione di una norma intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie già sub iudice, porrebbe nel nulla le funzioni giurisdizionali, intervenendo per annullare gli effetti del giudicato; 2) la norma censurata, lungi dall'introdurre una disciplina organica diretta a regolare una molteplicità di rapporti e situazioni, sarebbe manifestamente diretta ad incidere sul contenzioso pendente tra correntisti e banche, al fine di sterilizzare i risultati della giurisprudenza di legittimità.

Il giudice a quo denuncia, altresì, la violazione dell'art. 47 Cost., in quanto la riscossione e ritenzione di somme indebite (data l'applicazione di tassi di interesse ultralegali, illegittimi ed anatocistici), illegittimamente sottratte ai patrimoni e ai risparmi dei cittadini, implicherebbe grave violazione e compromissione del principio del risparmio, idoneo ad incidere per le sue proporzioni sull'economia e sul reddito dell'intera collettività.

Il Tribunale di Venezia deduce, infine, la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., attraverso la violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in quanto la norma censurata verrebbe ad interferire con l'amministrazione della giustizia, in assenza di motivi imperativi di interesse generale, modificando retroattivamente, in senso sfavorevole agli interessati, le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all'epoca della modifica.

 

9.10.- Con memoria depositata il 25 novembre 2011, si è costituita nel giudizio di legittimità costituzionale la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

L'istituto di credito eccepisce, in primo luogo, il difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, non essendosi il rimettente espresso in modo chiaro e puntuale sulla necessità o meno di applicazione della norma censurata ai fini della decisione della controversia sottoposta al suo esame. Invero, il giudice a quo, dopo avere prospettato delle interpretazioni sul primo e sul secondo capoverso della norma in questione che avrebbero dovuto portare a concludere per l'irrilevanza dell'art. 2, comma 61, ai fini della decisione della causa, ha sollevato la questione «in ipotesi di ritenuta applicabilità tout court della duplice nuova norma anche alle questioni in esame».

Sul piano della non manifesta infondatezza, la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. osserva che la natura autenticamente interpretativa della prima parte della norma censurata risulterebbe da due possibili chiavi di lettura costituzionalmente orientate della stessa.

L'istituto di credito prospetta una prima possibile lettura, prendendo le mosse dall'iter logico sviluppato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 24418 del 2010. Dopo avere riassunto il percorso argomentativo di tale decisione, la banca sostiene che la norma censurata si sarebbe posta nel solco interpretativo tracciato da detta sentenza: «la "prescrizione relativa ai diritti nascenti da un'annotazione in conto" non può che riferirsi alla prescrizione della condictio indebiti, che presuppone che nello svolgimento del conto corrente bancario vi sia stato da parte della banca un addebito illegittimo, e il correntista lo abbia ripianato attraverso la progressiva compensazione che si verifica con gli annotamenti "in dare" e "in avere" nel conto corrente bancario, con la annotazione "a credito" successiva all'illegittimo addebito: sempre sul presupposto che quell'annotazione "a credito" non fosse invece "ripristinatoria di provvista" nell'ambito di un'apertura di credito, perché, allora, il "diritto prescrittibile nascente da un'annotazione in conto" sarà quello che avviene al termine del rapporto, allorquando il correntista paghi un saldo passivo che, in ipotesi, fosse stato determinato o almeno influenzato da precedenti addebiti illegittimi». In questo quadro, la norma in esame avrebbe codificato un'interpretazione espressa dal giudice di legittimità, «sulla base del diritto vigente, nell'individuare il dies a quo della prescrizione del diritto di ripetere indebiti pagamenti effettuati nello svolgimento di un contratto di conto corrente bancario; ed allora non può dubitarsi che si sia trattato di norma autenticamente interpretativa che ha reso vincolante la ragionevole ed equilibrata soluzione ermeneutica espressa dalla Magistratura al suo più alto livello».

Secondo altra possibile lettura della norma censurata, in combinato con gli artt. 1422 cod. civ. (di cui costituirebbe norma applicativa nella materia bancaria l'art. 1827 cod. civ.), per prescrizione relativa ai «diritti nascenti da un'annotazione in conto» si dovrebbe intendere la prescrizione decennale di un'azione ripristinatoria del corretto saldo del conto corrente, con esclusione di partite basate su titoli nulli.

In ogni caso, l'interpretazione data dal legislatore a regole già esistenti nell'ordinamento non potrebbe contrastare con valori costituzionali.

Infine, quanto alla seconda parte della norma censurata, la Banca Nazionale del Lavoro sottolinea come, ammesso che tale disposizione sia destinata ad incidere su situazioni pregresse, non sarebbero lesi i principi di uguaglianza, considerato che l'esclusione della ripetizione di pregressi pagamenti riguarderebbe entrambi i contraenti e che il rapporto di un conto corrente bancario ha una sua specificità, tale da giustificare una diversità di trattamento sul piano della condictio indebiti rispetto ad altri rapporti negoziali, anche se di durata, nonché comportanti un legittimo affidamento.

 

10.- Con atto depositato in data 27 dicembre 2011 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Al riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri svolge le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di cui all'atto di intervento del 19 luglio 2011 relativo al giudizio r.o. n. 145 del 2011, cui si fa rinvio.

In data 13 gennaio 2012 la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore in aggiunta a quelli già costituiti. Il 17 gennaio 2012 la Banca suddetta ha depositato memoria illustrativa, richiamando gli argomenti già svolti e riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di intervento.

Infine, in data 17 gennaio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di costituzione.

 

11.- Il Tribunale di Potenza, con tre ordinanze del 13 aprile 2011 (r.o. n. 221, 222 e 223 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, già censurato dalle ordinanze che precedono.

 

11.1.- In punto di fatto, nella ordinanza relativa al giudizio r.o. n. 221 del 2011, il rimettente premette che, con atto di citazione ritualmente notificato, SA.CA. Costruzioni di A. Santarsiere e C. s.n.c., in persona dei legali rappresentanti, nonché i signori A.S. e A.R.C., avevano convenuto in giudizio la Banca Carime s.p.a. (Credem), chiedendo: 1) la rideterminazione del saldo - risultato passivo - del conto corrente intrattenuto con la banca, avendo quest'ultima, nel corso del rapporto, applicato la capitalizzazione trimestrale degli interessi, interessi a tasso usurario, nonché conteggiato commissioni su massimo scoperto, attribuzioni di valuta e spese non corrispondenti a quelle pattuite; 2) la condanna della banca alla restituzione dell'indebito percepito; che la Banca Carime s.p.a. si era costituita in giudizio, eccependo la prescrizione decennale del diritto alla ripetizione dell'indebito e contestando nel merito le domande degli attori; che, disposta CTU per il ricalcolo del saldo, all'udienza del 25 marzo 2011 la convenuta, nel contestare le risultanze della consulenza contabile, aveva chiesto l'espletamento di nuovi conteggi, stante l'intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme versate alla banca in applicazione dell'art. 2, comma 61, della legge n. 10 del 2011.

 

11.2.- Nella ordinanza relativa al giudizio iscritto al r.o. n. 222 del 2011, il rimettente espone che, con atto di citazione ritualmente notificato, C.I., titolare di un'impresa individuale, aveva convenuto in giudizio la Bancapulia s.p.a. e - premesso che la banca, nel corso di quattro rapporti di conto corrente intrattenuti tra le parti, aveva applicato interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, interessi usurari, la capitalizzazione trimestrale degli interessi stessi, addebitato costi, oneri e commissioni di massimo scoperto senza effettiva causa e specifica pattuizione scritta, gravato i conti sia attraverso il meccanismo dei cosiddetti giorni valuta, con gli addebiti al correntista in tempo reale o anticipato e gli accrediti in tempo posticipato, sia attraverso il sistema di calcolo in linea banca anziché in linea capitale; che dall'analisi, ad opera di un consulente, della situazione dei quattro conti, era risultato, per ognuno di essi, un saldo attivo in favore dell'attrice - aveva chiesto la condanna dell'istituto di credito al pagamento dei saldi effettivi finali dei quattro conti correnti, ovvero alla restituzione dell'indebito versato, nonché al pagamento dell'indennizzo per arricchimento senza causa.

Il giudice a quo aggiunge che Bancapulia s.p.a. si era costituita in giudizio, eccependo la prescrizione del diritto per il periodo precedente al quinquennio o al decennio dalla data di notificazione dell'atto di citazione e deducendo, nel merito, la pattuizione per iscritto del tasso di interesse, la legittimità della capitalizzazione degli interessi e il mancato superamento dei tassi soglia usurari.

Disposta CTU contabile, all'udienza del 30 marzo 2011, fissata per chiarimenti al CTU, parte convenuta, contestando le risultanze della perizia contabile, aveva chiesto, in punto di prescrizione, l'applicazione dell'art. 2, comma 61, della legge n. 10 del 2011 nonché della sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 24418 del 2010.

 

11.3.- Nell'ordinanza relativa al giudizio r.o. n. 223 del 2011, il rimettente espone che, con atto di citazione ritualmente notificato, la società Franco Vito & C., s.n.c., aveva convenuto in giudizio la Banca Credito Emiliano s.p.a. (Credem) e - premesso che la banca, nel corso nel rapporto di conto corrente di corrispondenza, con apertura di credito, acceso prima del marzo del 1994, aveva applicato interessi ultralegali non pattuiti per iscritto, interessi usurari, la capitalizzazione trimestrale degli interessi, addebitato costi, oneri e commissioni di massimo scoperto senza effettiva causa e specifica pattuizione scritta, gravato i conti sia attraverso il meccanismo dei cosiddetti giorni valuta, con gli addebiti al correntista in tempo reale o anticipato e gli accrediti in tempo posticipato, sia attraverso il sistema di calcolo in linea banca anziché in linea capitale; che l'attrice aveva analizzato la situazione del conto corrente dal 30 giugno 1995 al 30 settembre 2008, conteggiando un saldo attivo in suo favore di euro 164.851,36 - aveva chiesto la condanna dell'istituto di credito al pagamento del saldo effettivo finale del conto corrente, ovvero alla restituzione dell'indebito versato, nonché al pagamento dell'indennizzo per arricchimento senza causa.

Il giudice a quo aggiunge che, costituitasi in giudizio, la Banca Credito Emiliano s.p.a., aveva eccepito, sul presupposto che il contratto oggetto di causa fosse stato stipulato il 2 maggio 1995 ed estinto il 21 ottobre 2008 e che la notifica dell'atto di citazione fosse avvenuta in data 9 febbraio 2009, la avvenuta prescrizione quinquennale (per il periodo anteriore all'8 febbraio 2004) o decennale (per il periodo anteriore all'8 febbraio 1999) del diritto; che, nel merito, aveva dedotto la pattuizione per iscritto del tasso di interesse, la legittimità della capitalizzazione degli interessi e il mancato superamento dei tassi soglia usurari.

Disposta CTU contabile, all'udienza del 30 marzo 2011 la convenuta, contestando le risultanze della consulenza, aveva chiesto l'applicazione del censurato art. 2, comma 61, della legge n. 10 del 2011 e la conseguente riconvocazione del CTU per l'espletamento di nuovi conteggi che tenessero conto dell'intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme versate alla banca. Di contro, l'attrice aveva chiesto di rinviare la causa per la precisazione delle conclusioni e, in subordine, sostenendo la illegittimità costituzionale della norma invocata da controparte, aveva invitato il giudice a sollevare la questione di legittimità costituzionale.

 

11.4.- In punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, il rimettente svolge nelle tre ordinanze (r.o. n. 221, 222 e 223 del 2011) le medesime argomentazioni.

Quanto alla rilevanza, dopo avere riportato il testo della norma censurata, il giudice a quo osserva che, al fine di decidere se e in quali termini affidare al consulente l'incarico di effettuare un nuovo conteggio delle somme movimentate sul conto corrente oggetto di causa, ovvero rinviare la causa per la precisazione delle conclusioni, non si può prescindere dall'esame della citata norma.

Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il rimettente assume la violazione dei limiti interni, individuati dalla Corte costituzionale, alla ammissibilità di una norma interpretativa, nonché degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Ad avviso del giudice a quo, al citato art. 2, comma 61, non può essere attribuita natura di norma di interpretazione autentica dell'art. 2935 cod. civ., né tantomeno efficacia retroattiva. E, invero, la norma censurata violerebbe tutti i limiti fissati dalla Corte costituzionale in tema di ammissibilità delle norme di interpretazione autentica e di efficacia retroattiva delle leggi.

In particolare, il rimettente ricorda come la Corte costituzionale abbia chiarito che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica, non solo in presenza di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore.

Inoltre, la stessa Corte avrebbe individuato i limiti all'efficacia retroattiva delle leggi nella salvaguardia del principio di ragionevolezza, del divieto di ingiustificate disparità di trattamento, di tutela del diritto di azione a difesa dei propri diritti ed interessi, del principio di affidamento, nonché di quello di coerenza e certezza dell'ordinamento giuridico.

Ad avviso del rimettente, nell'ambito del nostro ordinamento, non sarebbero ravvisabili incertezze circa la decorrenza della prescrizione del diritto di ripetere le somme indebitamente trattenute dalla banca nei rapporti regolati in conto corrente.

Il giudice a quo ricorda come la Corte di cassazione abbia, più volte, chiarito che il termine di prescrizione decennale del diritto di ripetizione delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto (ex plurimis: sentenze n. 10127 del 2005 e n. 2262 del 1984). Il rimettente richiama, da ultimo, la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, 2 dicembre 2010, n. 24418, con la quale si è precisato che «se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per fare dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati». Peraltro, sottolinea il rimettente, l'art. 2935 cod. civ. prevede che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Come precisato dalla Corte di cassazione, perché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile.

Ad avviso del giudice a quo, la statuizione normativa secondo cui la prescrizione decorre dall'annotazione in conto dell'addebito degli interessi, attribuendo all'annotazione l'efficacia di un pagamento, introdurrebbe un concetto del tutto innovativo, ponendosi al di fuori delle possibili varianti interpretative delle preesistenti norme.

Inoltre, qualora l'applicazione della norma censurata si estendesse anche ai giudizi in corso, si violerebbe il principio del legittimo affidamento delle parti in relazione all'applicazione di un orientamento consolidato in tema di prescrizione, essendo stato operato, per via legislativa, un vero e proprio overruling.

Infine, il rimettente osserva che la citata norma, rendendo impossibile la restituzione degli importi già versati alla data della sua entrata in vigore, oltre ad impedire ai titolari di un diritto di ottenere la relativa realizzazione per via giudiziaria, con conseguente violazione dell'art. 24 Cost., non sarebbe giustificata da alcun ragionevole principio e determinerebbe una inammissibile disparità di trattamento, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost., tra i debitori che abbiano versato somme prima dell'entrata in vigore della legge e debitori che dette somme abbiano versato successivamente.

Con atti di uguale contenuto depositati in data 8 novembre 2011, è intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

In primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione, in quanto il rimettente avrebbe fornito una interpretazione non univoca della norma censurata, affermando, da un lato, che alla stessa non può essere attribuita natura di norma di interpretazione autentica dell'art. 2935 cod. civ. né efficacia retroattiva e, dall'altro, fondando la questione di costituzionalità proprio sulla natura interpretativa e retroattiva di tale disposizione.

Ugualmente inammissibile risulterebbe la censura di illegittimità costituzionale relativa alla seconda parte della norma censurata, secondo cui «non si fa luogo alla restituzione degli importi già versati».

Anche in questo caso il rimettente si sarebbe limitato a formulare l'ipotesi che essa impedisca la restituzione di quanto pagato in eccesso, senza sperimentare altre possibili soluzioni ermeneutiche conformi al dettato costituzionale.

Inoltre, non sarebbe chiara quale sia la disparità di trattamento (con violazione dell'art. 3 Cost.) che si determinerebbe tra i debitori in considerazione del momento del versamento da essi effettuato.

Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri svolge le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione di cui all'atto di intervento del 19 luglio 2011, relativo al giudizio r.o. n. 145 del 2011, cui si fa rinvio.

In particolare, con riferimento ai giudizi in esame, la difesa erariale sottolinea che non risulterebbero violati il principio di uguaglianza e il diritto di agire in giudizio, essendo evidente che la norma interpretativa di cui trattasi si applicherebbe in ugual modo ad entrambe le parti del rapporto e che la norma sulla prescrizione, avendo natura sostanziale e non processuale, non comporterebbe alcuna lesione del principio costituzionale sancito dall'art. 24 Cost.

In data 17 gennaio 2012, con intervento, dunque, fuori termine, nel giudizio iscritto al r.o. n. 221 del 2011, la Banca Carime s.p.a. (Credem), in persona del lagale rappresentante pro tempore, ha depositato atto di costituzione, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

 

11.5.- Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, con ordinanza del 26 luglio 2011 (r.o. n. 247 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 41, 47 e 102, Cost., questione di legittimità costituzionale della norma già censurata con le precedenti ordinanze.

In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, se la nuova norma dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre non già dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente (come affermato dalla Corte di cassazione) ma dal giorno della singola annotazione, sarebbe prescritto il diritto dell'attore alla ripetizione degli importi versati a titolo solutorio ed annotati oltre dieci anni prima della data di notificazione della richiesta stragiudiziale di restituzione dell'indebito. Inoltre, se la seconda parte della norma dovesse interpretarsi nel senso che nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna delle parti può non restituire gli importi, anche non dovuti, già versati alla data dell'entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011, la conseguenza sarebbe il rigetto totale della domanda, essendo stato il rapporto consensualmente chiuso in data 29 giugno 2010.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente riproduce testualmente la motivazione della ordinanza r.o. n. 166 del 2011, di cui sopra.

Con atto depositato in data 20 dicembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

In primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione, per carente motivazione sulla rilevanza, non avendo il rimettente indicato la causale della pretesa restitutoria (l'unico indizio fornito al riguardo dall'ordinanza di rimessione concerne il carattere "solutorio" dei versamenti effettuati dal correntista).

Ugualmente inammissibile risulterebbe la censura di illegittimità costituzionale, relativa alla seconda parte della norma censurata secondo cui «non si fa luogo alla restituzione degli importi già versati». Anche in questo caso il rimettente si sarebbe limitato a formulare l'ipotesi che essa impedisca la restituzione di quanto pagato in eccesso, senza sperimentare altre possibili soluzioni ermeneutiche conformi al dettato costituzionale.

Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri svolge in sostanza le medesime argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di cui all'atto di intervento del 19 luglio 2011, relativo al giudizio iscritto al r.o. n. 145 del 2011, al quale si fa rinvio.

In particolare, con riferimento al giudizio in esame, la difesa erariale sottolinea che non risultano violati il principio di uguaglianza e il diritto di agire in giudizio, essendo evidente che la norma interpretativa di cui trattasi si applicherebbe in ugual modo ad entrambe le parti del rapporto e che la norma sulla prescrizione, avendo natura sostanziale e non processuale, non comporterebbe alcuna lesione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 102 Cost.

In data 17 gennaio 2012 e, pertanto, fuori termine, il Banco Popolare Soc. Coop., quale successore della Banca Popolare di Lodi s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, ha depositato atto di costituzione, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

 

Considerato in diritto

 

1.- Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli articoli 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, nonché ai limiti interni individuati da questa Corte in ordine all'ammissibilità di una legge d'interpretazione, della legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (comma aggiunto dalla legge di conversione), che così dispone: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione d'importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe i menzionati parametri costituzionali, in primo luogo, per contrasto col principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto: 1) mancherebbe una norma specifica da interpretare, quale condizione dell'esercizio del potere di legislazione a fini interpretativi, cioè una norma che disciplini di per sé la decorrenza della prescrizione con riguardo al singolo contratto bancario regolato in conto corrente, essendo la lacuna colmata dagli interpreti con l'applicazione di una norma generale, qual è l'art. 2935 cod. civ., nonché di principi desumibili dalla disciplina delle singole operazioni bancarie e di principi in tema di estinzione del rapporto obbligatorio e di condictio indebiti; 2) la soluzione interpretativa prescelta dal legislatore non potrebbe essere inclusa tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell'istituto, perché, come posto in luce dalla Corte di cassazione a sezioni unite nella sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, in armonia con i principi generali in materia di adempimento, di ripetizione d'indebito e con quelli relativi alla causa del contratto di conto corrente bancario, la decorrenza della prescrizione dovrebbe essere individuata: a) nella chiusura del rapporto, quando non siano effettuati versamenti in pendenza del rapporto stesso, oppure allorché il versamento (effettuato in pendenza del rapporto), abbia funzione meramente ripristinatoria dell'affidamento; b) nel versamento, in ipotesi di conto passivo senza affidamento o di superamento del limite affidato.

Inoltre, la norma in questione si porrebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, e, quindi, ancora con l'art. 3 Cost., perché: 1) essa, con una previsione ad hoc, introdurrebbe una disciplina che, menomando i poteri di reazione processuale dei clienti del sistema bancario, assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, determinando un'inammissibile disparità di trattamento tra due categorie di soggetti; 2) introdurrebbe un termine per il decorso della prescrizione diverso, non soltanto dall'unico coerente (chiusura del conto) con la causa dei contratti bancari regolati in conto corrente (in particolare, del contratto di apertura di credito), ma anche dallo statuto normativo dei singoli tipi contrattuali, recanti profili di affinità con il rapporto de quo (mandato, deposito, per i quali la prescrizione dei diritti dai medesimi derivanti decorrerebbe dalla cessazione dei contratti stessi), così creando un'inammissibile disparità di trattamento tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale; 3) la censurata paralisi dei poteri sostanziali e processuali volti a tutelare gli utenti del sistema bancario sarebbe destinata ad operare soltanto per le somme già versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato d.l., con ingiustificata compressione del diritto a ripetere l'indebito per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale.

La norma censurata si porrebbe, altresì, in contrasto: 1) con l'art. 24 Cost., sotto il profilo della indefettibilità della tutela giurisdizionale, in quanto la prima parte di essa farebbe decorrere la prescrizione da una circostanza di fatto, cioè l'annotazione, esulante dalla sfera conoscitiva e di conoscibilità del cliente, mentre la seconda parte - in base ad una possibile opzione interpretativa, peraltro (ad avviso del rimettente) suscettibile di essere esclusa con un'esegesi della norma costituzionalmente orientata - introdurrebbe il divieto di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dal cliente alla banca, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 225 del 2010; 2) con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il profilo dell'integrità delle attribuzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, trattandosi di stabilire «se la statuizione contenuta nella norma censurata integri effettivamente i requisiti del precetto di fonte legislativa, come tale dotato dei caratteri di generalità e astrattezza, ovvero sia diretta ad incidere su concrete fattispecie sub iudice, a vantaggio di una delle due parti del giudizio»; 3) con l'art. 111 Cost., sotto il profilo del giusto processo, sub specie della parità delle armi, in quanto la norma censurata, supportata da una espressa previsione di retroattività, verrebbe a sancire - se non altro dalle ipotesi in cui dalle indebite annotazioni della banca sia già decorso un decennio - la paralisi processuale della pretesa fatta valere da chi abbia agito in giudizio, esperendo un'azione di ripetizione d'indebito.

Infine, la norma di cui si tratta violerebbe l'art. 117, primo comma, Cost., attraverso la violazione dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come diritto ad un giusto processo, in quanto il legislatore nazionale, in presenza di un notevole contenzioso e di un orientamento della Corte di cassazione sfavorevole alle banche, avrebbe interferito nell'amministrazione della giustizia, assegnando alla norma interpretata un significato vantaggioso per una parte del processo, in assenza di «motivi imperativi di interesse generale», come enucleati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

 

2.- Il Tribunale di Benevento, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma aggiunto da detta legge di conversione).

Secondo il giudice a quo, il primo periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione decennale (dell'azione di ripetizione dell'indebito) decorre non dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente - come confermato di recente da Cass., sez. un., n. 24418 del 2010 - ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto», violerebbe l'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza della norma stessa, per aver travalicato i limiti interni all'ammissibilità delle norme interpretative e, in generale, all'efficacia retroattiva delle leggi, in quanto: 1) non vi sarebbe stato alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorrenza della prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione nelle operazioni bancarie in conto corrente, perché sul punto vi sarebbe stata costante giurisprudenza della Corte di cassazione, ribadita, da ultimo, dalla medesima Corte a sezioni unite (sentenza n. 24418 del 2010); 2) la norma in quespione, pur qualificandosi interpretativa, di fatto avrebbe carattere innovativo, ponendosi in contrasto con la disciplina normativa e la natura giuridica delle operazioni bancarie in conto corrente, di cui agli artt. 1852-1857 cod. civ., nonché con il principio generale di cui all'art. 2935 cod. civ., in tema di decorrenza della prescrizione, «considerato che la dottrina e la giurisprudenza hanno sempre ritenuto che nei contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più prestazioni, quali contratti unitari, fonti di un unico rapporto giuridico anche se articolati in una pluralità di atti esecutivi, solo con il conto finale si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti e se ne determina l'esigibilità».

Ancora, sarebbe violato l'art. 3 Cost., per disparità di trattamento e per contrasto col principio di uguaglianza, qualora «la norma censurata si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso».

Inoltre, la norma in questione: a) si porrebbe in contrasto con gli artt. 41 e 47 Cost., frustrando i principi di tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese e, dunque, la libera iniziativa economica, perché verrebbe ad incidere in senso negativo sulle legittime aspettative, coltivate da queste ultime, di ottenere in restituzione ingenti somme indebitamente contabilizzate dalla controparte durante lo svolgimento di rapporti in conto corrente e riscosse in violazione di norme di ordine pubblico (quale il divieto di anatocismo); b) rischierebbe di pregiudicare anche il diritto delle banche ad ottenere in restituzione somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate prima di dieci anni dalla formale richiesta di rientro o di pagamento del saldo finale di chiusura del conto; c) violerebbe l'art. 24 Cost., in quanto, se essa si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso, impedirebbe ai titolari di diritti di ottenerne la realizzazione in via giudiziaria, poiché le norme sulla prescrizione, pur avendo natura sostanziale, produrrebbero effetti sul piano processuale, stante l'efficacia estintiva delle stesse; d) violerebbe l'art. 102 Cost., perché, se si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso, «comporterebbe una invasione ingiustificata delle prerogative giudiziarie».

Infine, con riguardo al secondo periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna delle parti può non restituire gli importi già versati alla data del 27 febbraio 2011 - data di entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011 - anche se non dovuti», sarebbero violate le norme costituzionali sopra richiamate, nonché i canoni di logica elementare, in quanto la norma irragionevolmente stabilirebbe che chi (anche una banca) abbia versato alla data del 27 febbraio 2011 degli importi a credito in un rapporto regolato in conto corrente, "in ogni caso" non potrebbe ottenerli in restituzione dal suo debitore.

 

3.- Il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 47, 111 e 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del già citato art. 2, comma 61.

Ad avviso del rimettente, il primo periodo della norma censurata violerebbe l'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e della lesione del principio di affidamento, in quanto: 1) facendo decorrere la prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito dalla data dell'annotazione, attribuirebbe a quest'ultima un effetto solutorio che essa non può avere, non essendovi stato pagamento, e ciò in contrasto con la ricostruzione operata dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 24418 del 2010; 2) se la norma, invece, dovesse essere interpretata nel senso che si riferisce all'azione diretta a far dichiarare la nullità della previsione contrattuale in base alla quale l'annotazione è stata effettuata, si sarebbe in presenza di una disposizione di carattere eccezionale, priva di qualsiasi giustificazione, essendo principio generale, non suscettibile di eccezioni, quello secondo cui l'azione di nullità è imprescrittibile; 3) la norma violerebbe tutti i limiti interni all'ammissibilità delle norme interpretative e all'efficacia retroattiva della legge, perché introdurrebbe una deroga ingiustificata al principio generale stabilito dall'art. 2935 cod. civ., e cagionerebbe una lesione all'affidamento dei risparmiatori, ingenerato dalla legge vigente e da consolidata giurisprudenza in ordine all'aspettativa di ottenere la ripetizione di quanto illegittimamente addebitato dalle banche, così minando la certezza dei rapporti giuridici e la coerenza del sistema.

Inoltre, la norma in questione si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., perché: a) consentirebbe alla banca, attraverso l'annotazione in conto, di precostituire la prova della data di decorrenza del termine di prescrizione, sovvertendo i principi generali in materia di prova, di cui agli artt. 2709 e seguenti cod. civ. e 634 del codice di procedura civile; b) attribuirebbe alla medesima banca un potere di attestazione, in contrasto con la natura privatistica degli istituti di credito; c) consentirebbe ad una delle parti di godere di una posizione privilegiata nella costituzione della prova, in contrasto con l'esigenza che la difesa in giudizio si svolga in modo adeguato e con parità delle armi tra i contendenti.

Ancora, sarebbero violati l'art. 47 Cost., in quanto la norma censurata introdurrebbe una disciplina di privilegio per le banche e, quindi, di svantaggio per i singoli risparmiatori, nonché l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 12 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, perché detta norma, introducendo una disciplina di palese favore per le banche e sfavorevole ai consumatori, si porrebbe in contrasto col principio fondamentale secondo cui, nei rapporti con le imprese, deve essere assicurata particolare tutela e protezione al consumatore, in quanto contraente più debole, nell'ottica di un necessario riassetto degli equilibri esistenti.

Quanto al secondo periodo della norma censurata, esso, ad avviso del rimettente, si presterebbe a due possibili interpretazioni: quella alla stregua della quale per "importi già versati" si dovrebbero intendere gli importi già annotati e quella per cui con la detta espressione si dovrebbe avere riguardo agli importi che, a chiusura del conto, siano stati determinati ed, eventualmente, anche corrisposti.

La norma, comunque, violerebbe gli artt. 3, 24 e 111 Cost., perché: 1) essa, in modo irrazionale, determinerebbe un principio di irripetibilità connesso al mero dato di fatto dell'entrata in vigore della legge, in difetto di ogni esigenza di ordine pubblicistico; 2) del pari in modo irrazionale sarebbero cancellati i diritti delle parti, scaturenti da un eventuale errore di calcolo o da nullità delle clausole sulla cui base i calcoli stessi siano stati effettuati; 3) si tratterebbe di una norma irragionevolmente retroattiva, con incidenza su posizioni giuridiche già formatesi, anche se non ancora giuridicamente accertate; 4) la norma, operando retroattivamente, lederebbe l'affidamento dei cittadini nella legge; 5) sarebbe altresì violato il principio della certezza del diritto.

Infine, la norma censurata si porrebbe in violazione dell'art. 23 Cost., perché avrebbe un sostanziale effetto ablativo nei confronti di chi sia stato vittima di un errore di annotazione ovvero di un'annotazione in base a clausola nulla, nonché in violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo numero 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, nel senso che la nozione di "beni" può comprendere sia beni effettivi, sia valori patrimoniali, compresi i crediti, in virtù dei quali il ricorrente potrebbe pretendere di avere almeno la "speranza legittima" di ottenere l'effettivo godimento di un diritto di proprietà, mentre la norma di cui si tratta si risolverebbe in una ingiustificata ablazione di un diritto di credito.

 

4.- Il Tribunale di Nicosia, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale della norma in esame, in riferimento agli artt. 3, 24, 102 e 117, primo comma, Cost., limitatamente al secondo periodo della norma stessa.

Il rimettente ritiene che la norma censurata violi: a) l'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza, perché ammetterebbe o escluderebbe la restituzione dell'indebito unicamente in base al dato temporale, in tal guisa differenziando senza ragionevole giustificazione i rapporti regolati in conto corrente bancario dai rapporti regolati in conto corrente ordinario o maturati in rapporti di altra natura; b) l'art. 24 Cost., in quanto, nel disporre che non si faccia luogo alla restituzione delle somme già versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione, impedirebbe di fatto la tutela giurisdizionale del diritto (sia del correntista sia dell'istituto di credito) alla restituzione di somme non dovute, incidendo retroattivamente sul diritto all'effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive; c) l'art. 102 Cost., in quanto la norma, data la sua valenza retroattiva, si porrebbe in contrasto con le attribuzioni del potere giurisdizionale, incidendo sulle pronunzie di condanna alla ripetizione dell'indebito e sui giudizi ancora pendenti; d) l'art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6 CEDU, come diritto ad un giusto processo, nell'interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in quanto la norma censurata, essendo destinata ad incidere retroattivamente su diritti già maturati in base all'ordinamento preesistente, verrebbe ad interferire, determinando un vantaggio per una delle parti del giudizio, su singole cause o su determinate tipologie di controversie già pendenti, in assenza di ragioni imperative d'interesse generale.

 

5.- Il Tribunale di Venezia, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 47, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2, comma 61.

Il rimettente, con riguardo al primo periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che la prescrizione decennale (dell'azione di ripetizione dell'indebito) decorre non dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente - come confermato di recente da Cass., sez. un., n. 24418 del 2010 - ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto», e al secondo periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna delle parti può non restituire gli importi già versati alla data del 27 febbraio 2011 - data di entrata in vigore della legge n. 10 del 2011 - anche se non dovuti», e con riguardo ad entrambi i periodi «in ipotesi di ritenuta applicabilità tout court della (duplice) nuova norma anche alle questioni in esame», sostiene che la norma suddetta violerebbe l'art. 3 Cost., perché irragionevole, in quanto: 1) essa, superando i limiti interni all'ammissibilità di norme interpretative, derogherebbe all'art. 2935 cod. civ., ponendosi in aperto contrasto con l'orientamento della giurisprudenza in materia, confermato dalla Corte di cassazione a sezioni unite con la citata sentenza n. 24418 del 2010; 2) la norma stessa si porrebbe in funzione "derogativa" in riferimento all'art. 2033 cod. civ. e, senza adeguata giustificazione, derogherebbe a disposizioni dell'ordinamento di carattere generale, annullando, con l'esclusione del diritto alla ripetizione, i diritti in danno del contraente debole, nell'ambito dei rapporti di conto corrente bancario.

Inoltre, la norma in questione violerebbe: a) l'art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza, perché la preclusione all'azione di ripetizione di somme indebitamente versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione darebbe luogo ad una ingiustificata compressione del diritto di ripetere l'indebito, per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale, e non anche per chi non versi ancora nella predetta situazione giuridica; b) gli artt. 24 e 111 Cost., con riferimento al principio inderogabile dell'effettività della tutela giudiziaria e del giusto processo; c) gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il profilo della invulnerabilità delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario; d) l'art. 47 Cost., perché la ritenzione di somme indebite, illegittimamente sottratte ai risparmi dei cittadini, implicherebbe una grave compromissione del principio di tutela del risparmio; e) l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU, perché, modificando con efficacia retroattiva, in senso sfavorevole agli interessati, disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all'epoca della modifica, verrebbe ad interferire con l'amministrazione della giustizia, in assenza di motivi imperativi d'interesse generale.

 

6.- Il Tribunale di Potenza, con le tre ordinanze di analogo tenore indicate in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale della normativa più volte indicata.

Il rimettente ritiene che la norma censurata violi i limiti interni all'ammissibilità di una legge d'interpretazione autentica e alla efficacia retroattiva delle leggi, sotto il profilo della irragionevolezza e della lesione del legittimo affidamento (art. 3 Cost.), in quanto: 1) non vi sarebbe stato alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorrenza della prescrizione dei diritti nascenti dall'annotazione nelle operazioni bancarie in conto corrente, perché, da ultimo, la Corte di cassazione a sezioni unite, con la sentenza n. 24418 del 2010, avrebbe ribadito che, nei contratti bancari in conto corrente, il termine di prescrizione decennale dell'azione di ripetizione dell'indebito (ad esempio, per nullità della clausola di capitalizzazione degli interessi) decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza di rapporto abbiano avuto funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; 2) la statuizione normativa, secondo la quale la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito dovrebbe decorrere dall'annotazione in conto dell'addebito degli interessi, attribuendo a detta annotazione l'efficacia di un pagamento, introdurrebbe un concetto del tutto innovativo, ponendosi al di fuori delle possibili varianti interpretative delle norme preesistenti, avuto riguardo anche alle risultanze della citata sentenza della Corte di legittimità; 3) qualora l'applicazione della norma censurata si estendesse anche ai giudizi in corso, resterebbe violato anche il principio del legittimo affidamento delle parti, in relazione all'applicazione di un orientamento consolidato in tema di prescrizione, essendo stato operato, per via legislativa, un vero e proprio overruling.

L'art. 3 Cost. sarebbe, altresì, violato sotto il profilo della ragionevolezza e dell'uguaglianza, perché la mancata restituzione degli importi già versati, alla data di entrata in vigore della legge di conversione, creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra debitori che abbiano versato somme prima dell'entrata in vigore della legge e debitori che abbiano versato tali somme in epoca successiva.

Infine, sarebbe violato l'art. 24 Cost., in quanto la norma in questione, rendendo impossibile la restituzione degli importi già versati alla data della sua entrata in vigore, impedirebbe ai titolari di un diritto di ottenerne la realizzazione per via giudiziaria.

 

7.- Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, con l'ordinanza indicata in epigrafe, solleva questione di legittimità costituzionale della norma già censurata con le precedenti ordinanze, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 Cost., svolgendo considerazioni identiche a quelle contenute nell'ordinanza del Tribunale di Benevento (punto 2 che precede), alla quale si rinvia.

 

8.-Le nove ordinanze di rimessione, qui riassunte, sollevano tutte questione di legittimità costituzionale della medesima norma (art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2001 - comma aggiunto in sede di conversione), adducendo argomenti analoghi o identici.

 

Pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica sentenza.

 

9.- In relazione all'ordinanza di rimessione del Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, l'istituto di credito resistente (Banca Monte dei Paschi di Siena, s.p.a., quale incorporante della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., poi Banca Antonveneta s.p.a.) ha eccepito la manifesta inammissibilità della questione, sia per carente motivazione sulla rilevanza, sia perché il rimettente avrebbe articolato in modo indistinto le sue censure rispetto alle due diverse disposizioni che compongono la norma di cui si discute, sia perché - pur prendendo le mosse dalla sentenza resa dalla Corte di cassazione a sezioni unite, n. 24418 del 2010, che aveva avuto riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario in conto corrente - egli avrebbe omesso di distinguere tra conti correnti ordinari e conti correnti con apertura di credito, tra annotazioni per un prelievo e per un versamento, tra versamenti con cui il correntista "rientra" dal cosiddetto extrafido e versamenti riespansivi del credito assentito dalla banca, trascurando di dare qualsiasi informazione in ordine al titolo dedotto dall'attore nel giudizio principale, a sostegno della sua pretesa restitutoria.

Inoltre, il giudice a quo avrebbe omesso qualsiasi cenno in ordine alla qualificazione delle annotazioni per le quali si sarebbe potuto agire per la ripetizione dell'indebito, se vi fosse un'apertura di credito regolata in conto corrente, se vi fossero stati versamenti da parte del correntista.

Anche l'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, ha sostenuto che la questione sarebbe inammissibile, perché il Tribunale avrebbe omesso di valutarne la rilevanza, limitandosi «a svolgere astratte considerazioni sulla legittimità della norma censurata, senza tuttavia spiegare se e in quali termini la sua applicazione possa incidere concretamente sull'esito della causa pendente dinanzi a sé». In particolare, il rimettente avrebbe richiamato i principi sull'indebito pagamento enunciati dalla Corte di cassazione a sezioni unite (sentenza n. 24418 del 2010), principi che sarebbero rimasti lesi dalla censurata norma interpretativa, ma avrebbe omesso di dimostrare le sue affermazioni, trascurando di specificare se la domanda proposta nel giudizio principale potesse essere accolta sulla base di quei principi, in modo da far emergere la rilevanza, ai fini del decidere, della normativa sopravvenuta che, individuando una diversa decorrenza dei termini di prescrizione, avrebbe precluso l'esercizio dell'azione restitutoria. Inoltre, il giudice a quo avrebbe proposto una lettura confusa ed indifferenziata della norma in esame, senza operare la necessaria distinzione tra le sue diverse disposizioni.

Le suddette eccezioni non sono fondate.

 

Il rimettente, descrivendo lo svolgimento del processo principale, riferisce quanto segue: «Con atto di citazione notificato il 18.04.2005 il sig. C. S. conveniva in giudizio la Banca A.P.V. s.p.a. chiedendo che fosse rideterminato il saldo del conto corrente n. 2741/R, acceso in data 11.04.1994, sino alla data dell'ultima operazione avvenuta il 29.12.1998; in particolare, chiedeva che i conteggi fossero riformulati tenendo conto dell'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale circa la nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della c. m. s., affinché la banca fosse condannata alla restituzione dell'indebito versato.

Costituitasi in giudizio, la banca convenuta contestava le eccezioni e le richieste attoree, concludendo per il rigetto integrale della domanda ed opponendo, preliminarmente, la liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e, quindi, l'eccezione di prescrizione estintiva».

Il giudice a quo prosegue esponendo che, allo scopo di procedere al ricalcolo del saldo, aveva disposto una consulenza tecnica; che la relazione del consulente era stata depositata, con il ricalcolo del saldo compiuto «alla stregua dei criteri di cui alla ordinanza ammissiva della ctu»; che egli aveva considerato la causa matura per la decisione ma, entrato in vigore l'art. 2, comma 61, della legge n. 10 del 2011, recante conversione del d.l. n. 225 del 2010, aveva ritenuto sussistenti i presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale di tale norma, osservando, sotto il profilo della rilevanza «ai fini del thema decidendum», che senza dubbio «la natura assertivamente interpretativa della stessa, unitamente all'eccezione di prescrizione, sollevata da parte convenuta» ne imponevano l'applicazione nel caso concreto.

Come si vede, il rimettente, in forma concisa ma sufficiente, si è pronunciato sulla rilevanza della questione nel caso di specie. Egli ha individuato il rapporto negoziale (contratto di conto corrente bancario), precisandone l'arco temporale di operatività, ha chiarito l'oggetto della pretesa azionata dall'attore (ripetizione d'indebito oggettivo per nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto, così indicando il titolo dedotto a sostegno della domanda), ha posto l'accento sull'eccezione di prescrizione sollevata dall'istituto di credito convenuto e, dovendo pronunciarsi su detta eccezione, ha considerato necessario lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma sopravvenuta che, intervenendo sulla decorrenza del termine di prescrizione in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, evidentemente incide anche sui risultati del ricalcolo del saldo effettuato dal consulente «alla stregua dei criteri di cui all'ordinanza ammissiva della ctu». Il che, del resto, si evince con chiarezza dall'affermazione del giudicante, secondo cui egli, dovendo pronunciarsi sull'eccezione di prescrizione, non può prescindere dall'esame della norma censurata.

Quanto, poi, al rilievo secondo cui il giudice a quo avrebbe svolto argomenti che fanno indistinto riferimento ad entrambi i periodi di cui si compone il citato art. 2, comma 61, così incorrendo in un vizio di contraddittorietà intrinseca e in un difetto di motivazione, si deve osservare che la presunta contraddizione non sussiste, perché il contenuto delle singole censure consente d'individuare la norma di volta in volta denunziata, mentre, in ordine all'asserito difetto di motivazione, si deve rinviare alle considerazioni dianzi svolte.

 

10.- L'istituto bancario e la difesa dello Stato eccepiscono un ulteriore profilo di inammissibilità, che sarebbe ravvisabile nel fatto che il rimettente avrebbe omesso di sperimentare la possibilità di pervenire ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Al riguardo, sono richiamate alcune recenti pronunzie di giudici di merito che, facendo leva su tale interpretazione, avrebbero respinto la questione di legittimità costituzionale qui in esame.

Neppure tale eccezione è fondata.

Fermo il punto che alcune pronunzie adottate in sede di merito non sono idonee ad integrare un "diritto vivente", si deve osservare che, come questa Corte ha già affermato, l'univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (sentenza n. 26 del 2010, punto 2, del Considerato in diritto; sentenza n. 219 del 2008, punto 4, del Considerato in diritto).

Nel caso in esame, il dettato della norma è, per l'appunto, univoco. Nel primo periodo essa stabilisce che, in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente (il richiamo è all'art. 1852 cod. civ.), l'art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa (il principio è da intendere riferito a tutti i diritti nascenti dall'annotazione in conto, in assenza di qualsiasi distinzione da parte del legislatore). Il secondo periodo dispone che, in ogni caso, non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 225 del 2010; ed anche questa disposizione normativa è chiara nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole (art. 12 disposizioni sulla legge in generale), che è quello di rendere non ripetibili gli importi già versati (evidentemente, nel quadro del rapporto menzionato nel primo periodo) alla data di entrata in vigore della legge di conversione.

Questo è, dunque, il contesto normativo sul quale l'ordinanza di rimessione è intervenuta. Esso non si prestava ad un'interpretazione conforme a Costituzione, come risulterà dalle considerazioni che saranno svolte trattando del merito. Pertanto, la presunta ragione d'inammissibilità non sussiste.

 

11.- La questione è fondata.

L'art. 2935 cod. civ. stabilisce che «La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». Si tratta di una norma di carattere generale, dalla quale si evince che presupposto della prescrizione è il mancato esercizio del diritto da parte del suo titolare. La formula elastica usata dal legislatore si spiega con l'esigenza di adattarla alle concrete modalità dei molteplici rapporti dai quali i diritti soggetti a prescrizione nascono.

Il principio posto dal citato articolo, peraltro, vale quando manchi una specifica statuizione legislativa sulla decorrenza della prescrizione. Infatti, sia nel codice civile sia in altri codici e nella legislazione speciale, sono numerosi i casi in cui la legge collega il dies a quo della prescrizione a circostanze o eventi determinati. In alcuni di questi casi l'indicazione espressa della decorrenza costituisce una specificazione del principio enunciato dall'art. 2935 cod. civ.; in altri, la determinazione della decorrenza stabilita dalla legge costituisce una deroga al principio generale che la prescrizione inizia il suo corso dal momento in cui sussiste la possibilità legale di far valere il diritto (non rilevano, invece, gli impedimenti di mero fatto).

In questo quadro, prima dell'intervento legislativo concretato dalla norma qui censurata, con riferimento alla prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito nascente da operazioni bancarie regolate in conto corrente, nella giurisprudenza di merito si era formato un orientamento, peraltro minoritario, secondo cui la prescrizione del menzionato diritto decorreva dall'annotazione dell'addebito in conto, in quanto, benché il contratto di conto corrente bancario fosse considerato come rapporto unitario, la sua natura di contratto di durata e la rilevanza dei singoli atti di esecuzione giustificavano quella conclusione.

In particolare, gli atti di addebito e di accredito, fin dalla loro annotazione, producevano l'effetto di modificare il saldo, attraverso la variazione quantitativa, e di determinare in tal modo la somma esigibile dal correntista ai sensi dell'art. 1852 cod. civ.

A tale indirizzo si contrapponeva, sempre nella giurisprudenza di merito, un orientamento di gran lunga maggioritario secondo cui la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito doveva decorrere dalla chiusura definitiva del rapporto, considerata la natura unitaria del contratto di conto corrente bancario, il quale darebbe luogo ad un unico rapporto giuridico, ancorché articolato in una pluralità di atti esecutivi: la serie successiva di versamenti e prelievi, accreditamenti e addebiti, comporterebbe soltanto variazioni quantitative del titolo originario costituito tra banca e cliente; soltanto con la chiusura del conto si stabilirebbero in via definitiva i crediti e i debiti delle parti e le somme trattenute indebitamente dall'istituto di credito potrebbero essere oggetto di ripetizione.

Nella giurisprudenza di legittimità, prima della sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, resa dalla Corte di cassazione a sezioni unite, non risulta che si fossero palesati contasti sul tema in esame. Infatti, essa aveva affermato, in linea con l'orientamento maggioritario emerso in sede di merito, che il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché soltanto con la chiusura del conto si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 14 maggio 2005, n. 10127 e sezione prima civile, sentenza 9 aprile 1984, n. 2262).

Con la citata sentenza n. 24418 del 2010 (affidata alle sezioni unite per la particolare importanza delle questioni sollevate: art. 374, secondo comma, cod. proc. civ.) la Corte di cassazione, con riguardo alla fattispecie al suo esame (contratto di apertura di credito bancario in conto corrente), ha tenuto ferma la conclusione alla quale la precedente giurisprudenza di legittimità era pervenuta ed ha affermato, quindi, il seguente principio di diritto: «Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati».

Rispetto alle pronunzie precedenti, la sentenza n. 24418 del 2010 ha aggiunto che, quando nell'ambito del rapporto in questione è stato eseguito un atto giuridico definibile come pagamento (consistente nell'esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto, con conseguente spostamento patrimoniale a favore di altro soggetto), e il solvens ne contesti la legittimità assumendo la carenza di una idonea causa giustificativa e perciò agendo per la ripetizione dell'indebito, la prescrizione decorre dalla data in cui il pagamento indebito è stato eseguito. Ma ciò soltanto qualora si sia in presenza di un atto con efficacia solutoria, cioè per l'appunto di un pagamento, vale a dire di un versamento eseguito su un conto passivo ("scoperto"), cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, oppure di un versamento destinato a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento (cosiddetto extra fido).

In particolare, con riferimento alla fattispecie (relativa ad azione di ripetizione d'indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamentava la nullità della clausola di capitalizzazione trimesprale degli interessi), la Corte di legittimità non ha condiviso la tesi dell'istituto di credito ricorrente, che avrebbe voluto individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati al correntista. Infatti, «L'annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perché non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista medesimo in favore della banca. Sin dal momento dell'annotazione, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo».

Come si vede, dunque, a parte la correzione relativa ai versamenti con carattere solutorio, la citata sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite conferma l'orientamento della precedente giurisprudenza di legittimità, a sua volta in sintonia con l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito.

 

12.- In questo contesto è intervenuto l'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011.

La norma si compone di due periodi: come già si è accennato, il primo dispone che «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa».

La disposizione si autoqualifica di interpretazione e, dunque, spiega efficacia retroattiva come, del resto, si evince anche dal suo tenore letterale che rende la stessa applicabile alle situazioni giuridiche nascenti dal rapporto contrattuale di conto corrente e non ancora esaurite alla data della sua entrata in vigore.

Orbene, questa Corte ha già affermato che il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost. (sentenze n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del 2006). Pertanto, il legislatore - nel rispetto di tale previsione - può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

La norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire un'interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell'eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto).

Ciò posto, si deve osservare che la norma censurata, con la sua efficacia retroattiva, lede in primo luogo il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.).

Invero, essa è intervenuta sull'art. 2935 cod. civ. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario della giurisprudenza di merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario in detta giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine.

Inoltre, la soluzione fatta propria dal legislatore con la norma denunziata non può sotto alcun profilo essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d'interpretazione.

Come sopra si è notato, quest'ultima pone una regola di carattere generale, che fa decorrere la prescrizione dal giorno in cui il diritto (già sorto) può essere fatto legalmente valere, in coerenza con la ratio dell'istituto che postula l'inerzia del titolare del diritto stesso, nonché con la finalità di demandare al giudice l'accertamento sul punto, in relazione alle concrete modalità della fattispecie. La norma censurata, invece, interviene, con riguardo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, individuando, con effetto retroattivo, il dies a quo per il decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto dei diritti nascenti dall'annotazione stessa.

In proposito, si deve osservare che non è esatto (come pure è stato sostenuto) che con tale espressione si dovrebbero intendere soltanto i diritti di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o di eliminazione delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero basati su errori di calcolo. Se così fosse, la norma sarebbe inutile, perché il correntista può sempre agire per far dichiarare la nullità - con azione imprescrittibile (art. 1422 cod. civ.) - del titolo su cui l'annotazione illegittima si basa e, di conseguenza, per ottenere la rettifica in suo favore delle risultanze del conto. Ma non sono imprescrittibili le azioni di ripetizione (art. 1422 citato), soggette a prescrizione decennale.

Orbene, come sopra si è notato l'ampia formulazione della norma censurata impone di affermare che, nel novero dei «diritti nascenti dall'annotazione», devono ritenersi inclusi anche i diritti di ripetere somme non dovute (quali sono quelli derivanti, ad esempio, da interessi anatocistici o comunque non spettanti, da commissioni di massimo scoperto e così via, tenuto conto del fatto che il rapporto di conto corrente di cui si discute, come risulta dall'ordinanza di rimessione del Tribunale di Brindisi, si è svolto in data precedente all'entrata in vigore del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, recante modifiche al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Ma la ripetizione dell'indebito oggettivo postula un pagamento (art. 2033 cod. civ.) che, avuto riguardo alle modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, spesso si rende configurabile soltanto all'atto della chiusura del conto (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza n. 24418 del 2010, citata).

Ne deriva che ancorare con norma retroattiva la decorrenza del termine di prescrizione all'annotazione in conto significa individuarla in un momento diverso da quello in cui il diritto può essere fatto valere, secondo la previsione dell'art. 2935 cod. civ.

Pertanto, la norma censurata, lungi dall'esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 cod. civ., ad esso nettamente deroga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione.

Anzi, l'efficacia retroattiva della deroga rende asimmetrico il rapporto contrattuale di conto corrente perché, retrodatando il decorso del termine di prescrizione, finisce per ridurre irragionevolmente l'arco temporale disponibile per l'esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto giuridico anteriore all'entrata in vigore della norma denunziata, abbiano avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi illegittimamente addebitate.

Sussiste, dunque, la violazione dell'art. 3 Cost., perché la norma censurata, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza (sentenza n. 209 del 2010).

 

13.- L'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010 (primo periodo), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, è costituzionalmente illegittimo anche per altro profilo.

È noto che, a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione - integrino, quali "norme interposte", il parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (ex plurimis: sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; sulla perdurante validità di tale ricostruzione anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza n. 80 del 2011).

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall'art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte europea, sentenza sezione seconda, 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia; sezione seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; sezione quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia; sezione seconda, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia).

Pertanto, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all'art. 25 Cost.), se giustificato da «motivi imperativi d'interesse generale»», che spetta innanzitutto al legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, nell'ambito del margine di apprezzamento riconosciuto dalla giurisprudenza della Cedu ai singoli ordinamenti statali (sentenza n. 15 del 2012).

Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni dianzi svolte, non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d'interesse generale, idonei a giustificare l'effetto retroattivo. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma introdotto dalla legge di conversione). La declaratoria di illegittimità comprende anche il secondo periodo della norma («In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»), trattandosi di disposizione strettamente connessa al primo periodo, del quale, dunque, segue la sorte.

 

14.- Ogni altro profilo, emergente dall'ordinanza del Tribunale di Brindisi e dalle altre ordinanze di rimessione indicate in epigrafe, resta assorbito.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2012.

Il Cancelliere

F.to: MILANA

 

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