Cassazione: Sentenza n. 13201 del 05/06/2006

Termini processuali: scadenza in giorno festivo.
Domenica 17 Marzo 2013

Svolgimento del processo
1. - Con atto di citazione notificato il 26 giugno 1998, la I.S. Costruzioni s.r.l., già S.T.T. Terreni s.p.a., conveniva in giudizio dinanzi alla Corte d'appello di Roma il Comune di Roma, chiedendo che venisse accertata la giusta indennità di espropriazione e di occupazione di un terreno di proprietà di essa attrice di 5695 mq., sito nel territorio del Comune, zona Tor di Quinto, e divenuto oggetto di espropriazione per la costruzione di una parco pubblico, così opponendosi alla valutazione effettuata in via definitiva per un importo di L. 136.680.000 e per ottenere l'indennità di occupazione.
Si costituiva in giudizio il Comune, chiodando il rigetto dalla proposta opposizione.
2.1. - Con sentenza n. 3659, depositata il 19 novembre 2001, la Corte d'appello determinava in L. 278.731.428, in L. 177.691.252 a in L. 42.776.182 le somme complessivamente dovute, dal Comune alla I.S. Costruzioni s.r.l., rispettivamente a titolo di indennità di espropriazione, di indennità di occupazione e di indennità per la perdita di valore dell'area residua; disponeva che il Comune di Roma provvedesse al deposito della somma presso la Cassa Depositi e Prestiti, previa detrazione di quanto già, a suo tempo, versato per i titoli in questione; poneva a carico del Comune le spese processuali.
2.1. - Per quanto qui rileva, la Corte territoriale, nel condividere l'esito degli accertamenti svolti dal consulente tecnico d'ufficio, osservava che l'esproprio aveva riguardato un'area di mq. 5.695 complessivi, edificatile al momento dell'apposizione del vincolo destinato all'esproprio con edificabilità 1,4 mc/mq, il cui valore venale era di L. 163.000 al metro quadrato, valore determinato alla stregua sia di una stima analitica ragguagliata al valore di trasformazione, secondo l'indice di edificabilità della zona, sia del metodo sintetico-comparativo, in considerazione del valore commerciale immobiliare di mercato di aree limitrofe.
Quanto all'indennità di espropriazione, la Corte di merito operava, sull'importo di L. 464.552.380 (derivante dalla semisomma tra valore venale e coacervo decennale del reddito dominicale), la detrazione del quaranta per cento, prevista dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis (nel testo risultante dalla legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359), non essendo intervenuta cessione volontaria dell'area in sede amministrativa.
La Corte d'appello determinava quindi l'indennità di occupazione legittima secondo la misura degli interessi legali sul parametro di riferimento dell'indennità di espropriazione stabilita ai sensi del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis.
3. - Avverso la sentenza della Corte d'appello, la I.S. Costruzioni s.r.l. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.
Il Comune di Roma ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, adducendo un motivo di censura.
La I.S. Costruzioni s.r.l. ha notificato controricorso per resistere al ricorso incidentale.
La Società ricorrente in via principale ha depositato memoria illustrativa in prossimità dell'udienza.

 

Motivi della decisione
1.1. - Con il primo motivo di ricorso principale, la Società I.S. Costruzioni, denunciando violazione e falsa applicazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, numeri 3) e 5), si duole che, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, la Corte d'appello abbia operato la riduzione del quaranta per cento.
La decisione sarebbe erronea: da un lato perchè, non essendo stata offerta alcuna indennità prima del decreto di espropriazione, ed essendo stato pertanto precluso in radice ogni possibile accordo con l'Amministrazione espropriante per la cessione dell'immobile, la Società non sarebbe stata posta in condizione di convenire la cessione volontaria del bene; dall'altro perchè comunque l'indennità di espropriazione, determinata dall'Amministrazione in L. 136.680.000, sarebbe stata inadeguata e irrisoria rispetto a quella calcolata dal giudice in applicazione dei criteri di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis.
A tale riguardo la Società ricorrente fa presenta di avere nel precedente grado di giudizio "espressamente dedotto l'inapplicabilità della riduzione del quaranta per cento di cui all'art. 5 bis cit.". Sennonchè, su tali specifici rilievi la Corte d'appello avrebbe omesso ogni motivazione, limitandosi ad affermare che la riduzione andava operata perchè non era intervenuta la cessione volontaria dell'area in sede amministrativa. Di qui la censura di erroneità della sentenza anche per omessa o, comunque, insufficiente motivazione.
1.2. - Con il secondo motivo (violazione dei principi generali in tema di determinazione di indennità di occupazione legittima;
illegittimità derivata; violazione e falsa applicazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis; omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, numeri 3 e 5), la ricorrente in via principale, premesso che l'indennità di occupazione deve essere determinata in misura pari agli interessi legali sull'indennità di espropriazione, si duole che la prima sia stata calcolata sull'indennità di espropriazione illegittimamente decurtata, per le ragioni indicate nel primo motivo, del quaranta per cento.
2. - Con l'unico mezzo, il ricorrente incidentale denuncia omessa decisione su un punto della controversia, nonchè violazione e/o falsa interpretazione della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4 e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16. Essendo risultato dalla consulenza tecnica d'ufficio che la Società I.S. Costruzioni non ebbe mai ad effettuare la dichiarazione ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI), l'indennità di espropriazione - sostiene il Comune - andava calcolata secondo i criteri applicabili per i suoli agricoli o nei limiti di quanto determinato nel provvedimento ablativo.
3. - Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 ood. proo. civ., trattandosi di impugnazioni rivolte contro la stessa sentenza.

 

4. Preliminarmente, deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilità, per tardiva notificazione, del controricorso e del ricorso incidentale, sollevata dalla Società I.S. Costruzioni a r.1., controricorrente al ricorso incidentale.

4.1. - L'eccezione è infondata.
Emerga dagli atti di causa che la notifica del ricorso per Cassazione della Società I.S. Costruzioni a r.l. è avvenuta il 30 dicembre 2002, e che il controricorso del Comune di Roma, contenente anche il ricorso incidentale, è stato a propria volta notificato il 10 febbraio 2003.
Ai sensi dell'art. 370 c.p.c., comma 1, il controricorso, con il contestuale ricorso incidentale, deve essere notificato entro venti giorni dalla scadenza del termine, anch'esso di venti giorni, stabilito per il deposito del ricorso per cassazione dall'art. 369 c.p.c., comma 1.
Nella specie, la scadenza del termine per il deposito del ricorso per Cassazione - costituente dies a quo per il decorso del termine di venti giorni per la notifica del controricorso e del ricorso incidentale - si e avuta, essendo il 19 gennaio 2003 giorno domenicale, e quindi festivo, con la proroga al giorno successivo, ai sensi dell'art. 155 c.p.c., comma 4.
I venti giorni per la notifica del controricorso e del ricorso incidentale decorrevano pertanto dal 20 gennaio 2003.
Sicchè la notifica del controricorso e del ricorso incidentale è avvenuta, tempestivamente, l'ultimo giorno utile, ossia il 10 febbraio 2003, essendo il 9 febbraio, giorno di scadenza del predetto termine di venti giorni, anch'esso festivo.
Ai fini del rigetto dell'eccezione preliminare di inammissibilità per tardività del controricorso e ricorso incidentale, deve, pertanto, farsi applicazione del seguente principio di diritto: "La disciplina del computo dei termini dettata dall'art. 155 cod. proc. civ. e, in particolare, la previsione del quarto comma di tale norma, concernente la proroga di diritto della scadenza, se il giorno di scadenza è festivo, al primo giorno seguente non festivo, si applica, per il suo carattere generale, al termine di venti giorni stabilito dall'art. 369 c.p.c., comma 1, per il deposito del ricorso per cassazione, anche quando questa scadenza costituisca, a sua volta, dies a quo per il termine dato all'intimato che intenda contraddire e ricorrere in via incidentale, con la conseguenza che l'ulteriore termine di venti giorni previsto dal successivo art. 370 c.p.c., comma 1, per la notifica del ricorso e del ricorso l'incidentale decorre dal giorno seguente non festivo al quale, di diritto, è prorogata la scadenza del termine finale per il deposito del ricorso per Cassazione".

 

5. - In ordine logico, va esaminato con precedenza l'unico motivo del ricorso incidentale.

5.1. - Esso e infondato.
5.2. - Il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1, (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, articolo 4) prevede che "In caso di espropriazione di area fabbricabile l'indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili qualora il valore dichiarato risulti inferiore all'indennità di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti".
Come il testuale tenore della norma pone in luce, il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, contempla, per l'esproprio di aree fabbricabili, un meccanismo riduttivo della relativa indennità, che va commisurato al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dell'espropriato, qualora il valore dichiarato risulti inferiore all'indennità di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti.
L'applicabilità dalla norma è, dunque, ancorata ad un duplice presupposto: (a) che l'espropriato abbia presentato dichiarazione o denuncia ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI); (b) che il valore dichiarato risulti inferiore all'indennità di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti.
L'omessa presentazione della denuncia o della dichiarazione ai fini dell'applicazione dell'ICI da parte dell'espropriato, invece, non è prevista nè disciplinata dal citato art. 16, e tale carenza di disciplina non può neppure essere colmata in via di interpretazione, perchè in realtà la presunta operazione ermeneutica si risolverebbe nell'inserimento nel dettato normativo di una integrazione non consentita all'interprete. Del resto, la ratio dell'art. 16 e da ravvisare nel fatto che il legislatore, avvalendosi dell'ampio potere discrezionale riservatogli in relazione alle varie finalità cui di volta in volta si ispira l'attività di imposizione fiscale, ha inteso introdurre un elemento dissuasivo non dell'evasione totale (ritenendo al riguardo sufficienti gli strumenti di controllo, di accertamento e sanzionatori di cui dispone l'Amministrazione finanziaria), bensì dell'elusione, che si manifesta col dichiarare valori per le aree edificabili di gran lunga inferiori rispetto a quelli collegati al valore venale, ancorchè sottoposto al meccanismo correttivo di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis.
In questa prospettiva è orientata la Corte costituzionale: la quale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, (sollevate in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., art. 42 Cost., comma 3, artt. 53 e 97 Cost.), ha osservato, tra l'altro, che l'evasore totale non trae alcun vantaggio dalla disciplina stabilita dalla citata disposizione, perchè è destinato in ogni caso a subire le sanzioni per l'omessa dichiarazione, nonchè l'imposizione per l'ICI che aveva tentato di evadere (sentenza n. 351 del 2000, cui hanno fatto seguito le ordinanze di manifesta infondatezza n. 539 del 2000 e n. 401 del 2002).
5.3. - Da tali considerazioni consegue che - come questa Corte ha già statuito (ex multis, Cass., sez. 1^, 28 dicembre 2004, n. 24064;
Cass., sez. 1^, 19 giugno 2003, n. 9808) - la disposizione del D.Lgs. n. 504 dal 1992, art. 16, comma 1, non è estensibile all'ipotesi, da essa non prevista, di omessa presentazione della denuncia o della dichiarazione ai fini dell'applicazione dall'ICI, e ciò a prescindere dalle ragioni per cui la dichiarazione è stata omessa.
E' pertanto da respingere la tesi del Comune ricorrente in via incidentale, secondo cui, avendo la Società omesso la dichiarazione o la denuncia ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili, la determinazione dell'indennità di espropriazione andrebbe fatta, anzichè in base a quanto risultante dalla c.t.u., secondo i criteri applicabili per i suoli agricoli o secondo la valutazione compiuta dalla P.A..
6. - Occorre a questo punto passare all'esame dei due motivi del ricorso principale, con i quali ai si duole che la Corte d'appello abbia erroneamente applicato la decurtazione del quaranta per cento per la determinazione dell'indennità di espropriazione (primo motivo) e dell'indennità di occupazione (secondo motivo).
7. - Il Comune controricorrente solleva un'eccezione di inammissibilità del primo motivo, sul rilievo che la circostanza del non essere stata la Società esproprianda posta in condizione di convenire, la cessione volontaria sarebbe stata dedotta, nel giudizio in unico grado dinanzi alla Corte d'appello, soltanto nella comparsa conclusionale.
7.1. - L'eccezione e priva di fondamento.
Sin dall'atto di citazione in opposizione alla stima amministrativa, la Sodiate I.S. Costruzioni ha chiesto la determinazione della "giusta indennità di espropriazione ed occupazione degli immobili per cui e causa, secondo i criteri di leggo", denunciando l'entità "assolutamente incongrua, incompleta ed illegittima" dell'indennità stimata in sede amministrativa. Nella comparsa conclusionale del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte territoriale, poi, parte attrice ha precisato, all'esito della svolta consulenza tecnica d'ufficio, che non sussistevano i presupposti normativi per procedere alla decurtazione del quaranta per cento (sia perchè non era stata offerta alcuna indennità prima del decreto di esproprio, sia perchè l'indennità era risultata in ogni caso manifestamente inferiore rispetto a quella determinata in sede giudiziaria).
E poichè - come sarà precisato nel prossimo paragrafo - il giudizio sulla fondatezza dell'opposizione alla stima amministrativa dell'indennità deve comprendere, in base ai criteri di legge, la verifica sull'esistenza e sulla non irrisorietà dell'offerta dell'espropriante, l'una e l'altra rappresentando condizioni per l'applicazione della prevista decurtazione del quaranta per cento (cfr. Cass., Sez. 1^, 4 giugno 2001, n. 7521), deve escludersi che la censura proposta con il ricorso in via principale costituisca un tema nuovo di dibattito non facente parte del thema decidendum della precedente fase di merito.
8. - Il primo motivo dal ricorso principale è fondato.
8.1. - Il D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis detta una disciplina generale per la determinazione dalla indennità di espropriazione per la aree edificabili, recependo - con una correzione - il sistema (a suo tempo introdotto con la legge sul risanamento della città di Napoli) della media di due valori (o semisomma), desunti l'uno dal "valore venale" e l'altro dal "reddito" moltiplicato per dieci. Il sistema è stato corretto con l'eliminazione del criterio del "reddito", previsto prioritariamente dalla legge 15 gennaio 1885, n. 2892, rapportato ai "fitti coacervati dell'ultimo decennio", che è stato sostituito con il criterio - contemplato in via sussidiaria dalla predetta legge del 1885 - agganciato (sempre con il rapporto moltiplicato di dieci) all'imponibile tributario agli effetti delle imposte sui terreni, con un ulteriore correttivo (di aggiornamento), apportato mediante l'espresso riferimento al reddito dominicale rivalutato di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 24 e seguenti (testo unico delle imposte sui redditi), e con l'applicazione di una riduzione del quaranta per cento dell'importo così risultante.
Il comma 2 dell'anzidetto art. 5 bis accorda all'espropriato, in ogni fase del procedimento espropriativo, la facoltà di convenire la cessione volontaria del bene, sottraendosi con essa alla riduzione del quaranta per cento e così percependo un corrispettivo per la cessione pari alla semisomma del valore venale e del valore fiscale.
Questa Corte ha statuito che, se per un verso la possibilità di convenire la cessione volontaria, e dunque di allacciare trattative contrattuali paritarie con l'espropriante, induce tendenzialmente ad un'applicazione rigorosa del sistema di determinazione dell'indennità in base al comma 1 dell'art. 5 bis, nel senso che il premio della mancata decurtazione del quaranta per cento (di cui al comma 2 del medesimo articolo) dipende dalla sola condizione dell'avvenuta cessione volontaria del bene sottoposto a procedura espropriativi, sono tuttavia rimesse, per altro verso, al prudente apprezzamento del giudice di merino la valutazione della vicenda amministrativa concernente la determinazione indennitaria e la scelta, sindacabile in sede di legittimità entro i limiti della logicità e congruità della motivazione, di non operare l'abbattimento del quaranta per cento per essere dipesa la mancata accettazione dell'indennità da un'offerta amministrativa rivelatasi palesemente irrisoria, simbolica o strumentalmente mirata ad ottenere l'abbattimento stesso, ovvero, comunque, non congrua rispetto al valore del bene ed al criterio di calcolo previsto dal citato art. 5 bis (ex multis, Cass., Sez. 1^, 24 marzo 2004, n. 5874; Cass., Sez. 1^, 4 aprile 2003, n. 5263; Cass., Sez. 1^, 2 aprile 2003, n. 5059;
Cass., Sez. 1^, 12 aprile 2002, n. 5263; Cass., Sez. 1^, 25 maggio 2001, n. 7107; Cass., Sez. 1^, 11 maggio 2001, n. 6538).
L'esigenza di una offerta congrua, quale condizione per l'espropriazione con indennizzo decurtato (se la proposta medesima non sia accettata), è insita nel complessivo meccanismo dei primi due commi dell'art. 5 bis. Difatti tale disposizione - come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 2 luglio 2004, n. 12139, in motivazione) - delinea in via generale l'indennità di espropriazione in una misura unitaria, ma complessa, con una base fissa, f costituita dalla metà della somma del valore venale e del valore fiscale, ed un parametro variabile, rappresentato dalla riduzione o non riduzione del quaranta per cento del relativo importo a seconda che il proprietario sia stato o meno masso in grado di accordarsi per il ristoro dalla traslazione del diritto dominicale dietro versamento di una somma pari a detta metà, o comunque non divergente da essa in misura rilevante.
Tale lettura trova pieno conforto nella natura dal nesso fra espropriazione e cessione volontaria, che sono le alternative fisiologiche del procedimento apertosi con la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera abbisognante del suolo altrui. La cessione non è un'eventualità eccezionale od atipica, ed anzi si configura come lo sbocco preferenziale di quel procedimento, tanto da essere favorita con un incentivo per l'espropriando, cui corrisponde il vantaggio per l'espropriante di un'accelerata acquisizione del bene, evitando contestazioni in sede amministrativa o giudiziaria.
Siffatto orientamento non è contrastato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Nel dichiarare non fondata, in riferimento all'art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., comma 1, art. 113 Cost., comma 1, e art. 42 Cost., comma 3, la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 1, nella parte in cui prevede la riduzione del quaranta per cento (sentenza n. 262 del 2000), il Giudice delle leggi - dopo aver osservato che "gli eventuali prospettati abusi delle autorità amministrative nella determinazione della indennità di esproprio offerta al soggetto espropriato, ovvero le non congrue valutazioni nella determinazione della indennità non possono influire sulla legittimità costituzionale delle stesse norme, restando tali profili estranei al (...) giudizio di costituzionalità - non ha mancato di sottolineare che lo esigenze di superare alcune anomalie di applicazione della norma denunciata o di malfunzionamento di organi amministrativi nei casi più manifesti hanno trovato, nella prassi e nella giurisprudenza, una pluralità di risposte, la cui concreta praticabilità rientra nelle scelte di tutela delle parti e nelle esclusive valutazioni interpretative dei giudici chiamati ad applicare le norme relative".
Tale pronuncia della Corte costituzionale, e la successiva sentenza n. 300 del 2000, nel rimarcare l'esigenza di protezione dell'espropriato, a fronte di contegni dell'espropriante ostativi alla conclusione della cessione volontaria, lasciano dunque aperta la possibilità di una interpretazione dell'art. 5 bis idonea a cogliere una soluzione atta ad assicurare l'indicata protezione.
8.2. - In conclusione si deve ritenere che l'indennità espropriativa non subisce la decurtazione del quaranta per cento se vi sia stata perdita della facoltà di cessione volontaria perchè sia mancata l'offerta dell'indennità provvisoria ovvero questa sia risultata irrisoria o comunque non congrua rispetto al valore del bene ed al criterio di calcolo previsto dal citato art. 5 bis, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
8.3. - Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha operato direttamente la riduzione del quaranta per cento per il solo fatto obbiettivo che non era intervenuta la cessione volontaria dell'area nella sede amministrativa, senza avere previamente verificato l'esistenza dell'offerta, da parte dell'espropriante, dell'indennità provvisoria, valutandone congruità, equità e non irrisorietà rispetto alla misura di legge. In tal modo, essa mostra di contraddire il principio di diritto sopra enunciato, onde soggiace alla censura (per violazione di legge, assorbita quella per vizio di motivazione) dedotta dalla Società ricorrente.
9. - Per le stesse ragioni esposte al paragrafo precedente, e fondato il secondo motivo. Difatti, anche nella determinazione dell'indennità di occupazione legittima, da calcolarsi nella misura degli interessi legali sul parametro di riferimento dell'indennità di espropriazione stabilita ai sensi del citato art. 5 bis, la decurtazione del quaranta per cento su tale base di liquidazione non può operare, penalizzandolo, nei confronti del proprietario che non sia stato messo in condizione di stipulare la cessione volontaria, o perchè non gli sia stata offerta alcuna indennità, o perchè l'indennità provvisoria non sia considerata congrua dal giudice di merito (cfr. Cass., Sez. 1^, 19 marzo 2004, n. 5538).
10. - All'accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso principale consegue la cassazione della sentenza impugnata.
La causa va rinviata alla Corte d'appello di Roma, la quale, in diversa composizione, provvederà anche in ordine alla liquidazione delle spese della fase di legittimità.
Al giudice del rinvio compete un nuovo esame del materiale probatorio onde valutare - ai fini della riduzione del 40 per cento, di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, dell'indennità di espropriazione, da valere anche come base di calcolo per la determinazione dell'indennità di occupazione - se la Società espropriando sia stata posta in condizione di convenire la cessione volontaria del bene con l'offerta di un'indennità provvisoria congrua rispetto alla misura di legge.

 

P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta l'incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese dalla fase di legittimità, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2006

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