SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 749/2006, il Tribunale di Mantova dichiarava la separazione personale dei coniugi (D.M.) e (P.R) con addebito al marito, affidava il figlio minore B. alla madre, cui assegnava la casa coniugale, regolando il diritto di visita del padre, poneva a carico di quest’ultimo il solo contributo per il mantenimento del figlio nella misura di lire 650,00 mensili.
La decisione veniva impugnata da entrambe le parti. Con appello principale il D.M. insisteva nella domanda d’addebito nei confronti della moglie e si doleva della pronuncia d’addebito emessa a suo carico perché basata su parziale esame delle prove, chiedeva l’assegnazione della casa coniugale e la riduzione dell’assegno per il mantenimento del figlio, siccome sproporzionato alle sue capacità patrimoniali. In via incidentale la P. chiedeva l’assegno di mantenimento per sé.
Con sentenza del 6 febbraio – 18 marzo 2008, la Corte di Appello di Brescia revocava l’assegnazione della casa coniugale alla P., attribuiva a quest’ultima l’assegno di mantenimento nell’importo mensile di euro 550,00 e confermava nel resto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la P. deducendo tre mezzi resistiti dal D. con controricorso contenente altresì ricorso incidentale affidato a sua volta a tre motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente principale denuncia vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’articolo 155 quater c.c., per dolersi della statuita revoca dell’assegnazione della casa coniugale, a suo avviso basata sulla sola dichiarazione del D. circa la circostanza consistita nel suo trasferimento presso i genitori, assurta a fonte di prova del suo mancato godimento, nonchè in assenza della richiesta d’assunzione della relativa dimostrazione da parte del D..
Il quesito di diritto chiede se il giudice della separazione in assenza di altro elemento probatorio possa ritenere idonea a giustificare la revoca dell’assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario del figlio minore la sola dichiarazione dell’altro coniuge in ordine allo stabile abbandono della casa da parte dell’assegnatario contestata ripetutamente.
Il resistente deduce l’infondatezza della censura.
Il motivo è infondato. Ha osservato in motivazione la Corte territoriale, in relazione all’assegnazione della casa coniugale, la lunga permanenza della P. presso i genitori nella cui abitazione si era stabilita col figlio B. le cui esigenze ed il cui interesse alla continuità ambientale erano per l’effetto venute meno; che la predetta si era dichiarata disponibile a rilasciare la casa laddove le fosse stato riconosciuto adeguato corrispettivo e che comunque era sconsigliabile quella permanenza data la prossimità della casa familiare al luogo ove viveva il marito.
Le circostanze apprezzate, che la Corte distrettuale assume pacifiche nè la ricorrente ha contestato in punto di fatto nel suo atto di gravame, col quale ha solo invocato l’interesse prioritario del figlio ammettendo che il coniuge abita presso la sua originaria famiglia adiacente, giustificano la statuita revoca dell’assegnazione della casa coniugale alla madre affidataria. in quanto palesano non solo la cessazione della continuità ambientale, decisiva ai fini del preminente interesse del minore alla permanenza nella casa familiare, suo domicilio abituale, ma l’interesse dello stesso minore, l’unico che rileva, ad un allontanamento da quell’habitat, ove può essere esposto a situazione idonee a comprometterne il sereno sviluppo.
Conforme al dettato normativo contenuto nell’articolo 155 quater c.c., che deve essere interpretato, in senso conforme all’esegesi affermata da Cass. n. 4555/2012, cui in piena condivisione si intende in questa sede dare continuità, nel senso che “la nozione di convivenza rilevante agli effetti dell’assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, della ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione, ipotesi nella quale si configura invece un rapporto di mera ospitalità dovendo sussistere un collegamento stabile con quell’abitazione”, inoltre adeguatamente argomentata, la decisione impugnata si sottrae alla censura esposta, peraltro palesemente tesa alla rivisitazione delle circostanze apprezzate dal giudice d’appello, precluso in questa sede.
Il motivo deve pertanto essere dichiarato privo di pregio.
Col secondo mezzo la ricorrente denuncia medesimo vizio e ribadisce il precedente errore ascritto all’organo di gravame, lamentando che la decisione in parte qua sarebbe priva di sostegno probatorio ed il giudice dell’appello sarebbe incorso in ulteriore errore per aver ritenuto di disattendere il prioritario interesse del figlio minore a fronte di un ristoro di natura economica. Il quesito di diritto chiede se oltre alle ipotesi previste dall’articolo 155 quater c.c., possa revocarsi l’assegnazione della casa familiare disposta a favore del coniuge affidatario anche a fronte di altre circostanze come il versamento di un corrispettivo economico o la necessità di evitare l’acuirsi della conflittualità tra i genitori. Il resistente chiede il rigetto della censura.
Il motivo condivide la sorte del precedente in quanto ascrive alla Corte del merito distorta interpretazione del tenore delle difese argomentate nello scritto difensivo riferito e sottoposto al suo esame, e a sua volta ne travisa il senso e il contenuto, come sopra riferito. Il rilascio della casa ha infatti costituito parametro di riferimento nel regolamento economico compensando lo svantaggio che ne deriva alla ricorrente, ma non certo è stato apprezzato a quest’ultimo fine. Il quesito di diritto infine non risulta pertinente alla censura, in presenza di un tessuto motivazionale incentrato sulla verifica del preminente ed esclusivo interesse del figlio alla permanenza presso la casa familiare.
Col 3 motivo infine la ricorrente deduce vizio di motivazione per lamentare l’esiguità dell’importo dell’assegno di mantenimento ad essa attribuito, basata su valutazione equa che non esplicita i concreti motivi sottostanti la statuita quantificazione. Il quesito di diritto chiede se l’espressione “appare equa” possa giustificare la congruità della misura dell’assegno di mantenimento oppure se debbano essere indicati i concreti sottostanti motivi. Anche di questo motivo il D. chiede il rigetto.
Il motivo è anch’esso infondato. La sentenza impugnata, in relazione al contributo per il mantenimento della moglie e del figlio, ha reputato fittizio il reddito agrario denunciato dal D. nell’importo di euro 3000,00 annui godendo il settore dell’agricoltura, in cui egli operava, di benefici fiscali ed occorrendo tener conto del valore del patrimonio immobiliare di euro 849.374,00 e della relativa rendita calcolata dal c.t.u. in euro 44.000,00, dovendo altresì ritenersi verosimilmente simulate le alienazioni effettuate in favore del fratello dal predetto nell’imminenza della separazione. Basandosi su attendibile ricostruzione delle complessive posizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi, anche delle (......) e dello svantaggio conseguente al rilascio dell’abitazione coniugale, ha infine fissato l’erogazione in favore della predetta, più debole, giungendo alla conclusione che l’importo equo dell’assegno dovesse determinarsi in euro 550,00 mensili.
Il mezzo in esame richiama sommariamente i passaggi argomentativi sui fatti considerati e ne smentisce il valore probatorio attribuendovi senso opposto a quello ritenuto dalla Corte del merito, la cui statuizione tiene conto delle vicende che hanno interessato la posizione economica e patrimoniale del D., rispetto al tempo della convivenza matrimoniale e dunque al relativo tenore di vita della coppia, e assunti a base gli elementi comparativi acquisiti al bagaglio istruttorio, ha provveduto facendo corretta applicazione del dettato normativo. Evidentemente, non ritenendo rigidamente quantificabile la misura del contributo sulla base di un mera comparazione aritmetica, si è attenuta al criterio equitativo al fine di stabilirne congruità sostanziale, all’esito di un bilanciamento adeguato effettivamente alle rispettive esigenze. L’equità dunque, lungi dall’operare nel senso e nei limiti rigidamente posti dall’articolo 1226 c.c., ha rappresentato non certo criterio surrettizio rispetto alla lacuna istruttoria della parte onerata della prova del quantum debeatur, ma strumento cui parametrare in senso corrispondente alla effettiva situazione accertata in causa ed essa proporzionata, l’obbligo della parte gravata.
Tutto ciò premesso il ricorso principale deve essere rigettato.
Analoga pronuncia va adottata in relazione al ricorso incidentale che,articolato in tre motivi, denuncia:
1.- vizio di motivazione violazione dell’articolo 151 c.c.;
2.- violazione dell’articolo 112 c.p.c.;
3.- violazione ancora vizio di motivazione. I motivi convergono sulla medesima questione in quanto censurano l’impugnata decisione in ordine alla pronuncia d’addebito della separazione nei suoi confronti.
In particolare:
1.- il D. sostiene che violazione dell’obbligo di fedeltà, e la sua frequentazione con una prostituta non troverebbero adeguato sostegno probatorio; i testi nulla avrebbero riferito a riguardo e l’investigatore privato incaricato dalla moglie ha solo riferito d’averlo visto in compagnia di una donna. Non risulterebbe provato, nè la Corte del merito avrebbe accertato il nesso causale tra la sua presunta infedeltà, ovvero il tradimento, non accertato quale relazione stabile, e la crisi del matrimonio; le violenze ascrittegli ai danni della P., asseritamente dimostrate, sarebbero state attinte da deposizioni testimoniali generiche sul punto – che dichiarò di non aver assistito ad aggressioni fisiche -, non suffragate da condanne penali – le querele vennero rimesse e per un episodio è stato assolto-. I quesiti di diritto convergono anch’essi sulla richiesta di enunciazione se possa pronunciarsi l’addebito della separazione senza accertare l’efficienza causale tra la violazione dei doveri del matrimonio e la sua crisi.
2. – Il ricorrente lamenta che non si sarebbe tenuto conto della condotta della P. che giustificava l’addebito a suo carico, rappresentato dal suo disinteresse per la famiglia, l’inottemperanza ai suoi doveri coniugali anche di natura intima, ripetuta lontananza dalla casa familiare, rifiuto di preparare e consumare i pasti con marito e figlio, gelosia ingiustificata, fatti tutti accertati in causa anche a mezzo prova orale-testimonianza -. Il conclusivo quesito di diritto chiede se l’omessa pronuncia sull’addebito concreti vizio di cui all’articolo 112 c.p.c. e se ai fini, dell’addebitabilità della separazione l’indagine sull’intollerabilità della convivenza possa riguardare uno solo dei coniugi.
I motivi espongono censure prive di pregio. In ordine alle reciproche domande d’addebito ha osservato la Corte d’appello che dalle deposizioni testimoniali assunte in primo grado era emerso che il D. si era reso protagonista di episodi di violenza a danno della moglie, cui era stato altresì infedele, e che il comportamento della P., asseritamente trascurato verso famiglia e marito, era irrilevante e non proporzionato alla violenza del coniuge ingiustificata e causa determinante il fallimento del matrimonio.
La verificata consumata violenza ai danni della P. è stata desunta dalla Corte del merito dall’univoco risultato emerso dalle prove testimoniali assunte in giudizio, il cui vaglio critico adeguatamente argomentato non è suscettibile di riesame in questa sede, che hanno conclamato il comportamento violento, dunque inescusabile del D. mantenuto ai danni della moglie, presa a calci anche durante l’allattamento, coperta di lividi in altro frangente, all’interno delle mura domestiche note perciò solo alle persone più vicine al nucleo familiare.
La decisione applica correttamente l’enunciato più volte espresso che afferma che, rappresentando l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale una violazione particolarmente grave che di regola provoca l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, così da giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile (Cass. n. 8512/2006, n. 13592/2006, n. 20256/2006, n. 25618/2007) questi è tenuto ad offrire la prova che l’unione coniugale fosse in quel momento già incrinata (Cass. n. 4540/2011).
E difatti, se la regola anzidetta non opera quando si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale (Cass. n. 9074/2011) mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui si desuma una crisi già irrimediabilmente in atto nel contesto di un menage solo formale, comunque grava sul coniuge che eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda d’addebito l’anteriorità della crisi alla sua condotta contraria ai doveri del matrimonio, prova che il D., a giudizio degli organi di merito, non ha offerto.
Comunque non può non rilevarsi che non potrebbe il comportamento violento dell’un coniuge nei confronti dell’altro, quale quello posto in essere dal D. ed accertato in giudizio alla stregua delle fonti di prova vagliate dal giudice del gravame, trovare scriminante ovvero predicare la necessità del nesso causale con la cessazione di quella unione.
Questo ulteriore elemento, che merita decisiva considerazione, convalida in modo ancor più radicale la correttezza della decisione per la sua particolare gravità. In questa prospettiva non può attribuirsi alcuna rilevanza alle asserite inadempienze della P. poichè, a lume di consolidato orientamento di cui la Corte distrettuale ha fatto buongoverno “In tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili – traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner – essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere” (Cass. n. 8548/2011).
Il terzo mezzo che denuncia omessa motivazione in ordine alla misura del contributo per il mantenimento tanto del minore che della P., ripercorre il vaglio critico condotto dalla Corte distrettuale sugli elementi esaminati, dianzi riferiti, e quindi investe il merito della decisione che, in presenza di motivazione puntuale e corretta in diritto, non può essere sindacata in questa sede.
La reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione integrale delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento devesi omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.