Cassazione: dichiarazione giudiziale di paternità, legittimazione della madre, diritto al risarcimento danni

Cassazione Civile Sez. I, Sentenza n. 16551 del 14/07/2010.
Cassazione: dichiarazione giudiziale di paternità, legittimazione della madre, diritto al risarcimento danni
Domenica 7 Novembre 2010

Nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità la madre è legititmata a richiedere, nell'interesse del figlio minore, il risarcimento del danno a carico del dichiarato padre.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 14-4-2003, presso il Tribunale per Minorenni di Perugia, Ba.An.Ma. chiedeva che B. M. fosse dichiarato padre della minore Ba.Ma., nata nel 2002, e condannato al pagamento di somma mensile per il mantenimento della minore. Si costituiva il curatore del minore, che aderiva alla domanda della Ba., nonchè il B. che ne chiedeva il rigetto.

Veniva disposta ed espletata C.T.U. medica.

Il Tribunale per i Minorenni, con sentenza 30-11-2007, dichiarava il B., padre del minore, e lo condannava a corrispondere assegno mensile di Euro 400.00 alla madre per il mantenimento della figlia, nonchè di Euro 20.000,00, quale rimborso per il mantenimento, relativo al periodo pregresso.

Il B. interponeva rituale appello. Costituitosi il contraddittorio, il curatore della minore e la Ba. ne chiedevano il rigetto; quest'ultima pure proponeva appello incidentale circa l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno.

Con sentenza non definitiva 12-3/18-4-2008, la Corte di merito rigettava l'appello, in punto dichiarazione di paternità, e rimetteva la causa in ruolo in ordine all'esame delle statuizioni economiche. Con sentenza definitiva 11-6/20-6-2008, la Corte rigettava l'appello principale sulle statuizioni economiche ed accoglieva quello incidentale in punto risarcimento del danno.

Ricorre per cassazione il B., con un unico motivo relativo alla sentenza non definitiva, e con tre motivi, riguardo a quella definitiva.

Resiste con controricorso Ba.An.Ma..

Non ha svolto attività difensiva il curatore della minore.


MOTIVI DELLA DECISIONE

Tutti i quesiti formulati ex art. 366 bis c.p.c., abrogati, ma ancora operante per i rapporti pregressi, appaiono adeguati, salvo quanto indicato in prosieguo. Con l'unico motivo, relativo alla sentenza non definitiva, il ricorrente lamenta "difetto di istruttoria, di motivazione, illogicità" riguardo alla dichiarazione di paternità.

Contesta il ricorrente le risultanze della C.T.U. e lamenta che il Giudice d'Appello non abbia ammesso le prove testimoniali richieste.

Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Con motivazione adeguata e non illogica, la Corte di merito richiama le risultanze della C.T.U. e i chiarimenti ulteriori forniti dal consulente, in primo grado: la probabilità della paternità del B. al 99,9999% nonchè l'ammissione da parte di lui di aver avuto una relazione sessuale con la Ba.. Precisa ulteriormente il Giudice a quo, con argomentazione non illogica, che la tesi dell'appellante circa l'inidoneità della C.T.U. a risolvere la questione se genitore sia egli stesso o il di lui padre, che pure avrebbe avuto rapporti sessuali con la Ba., non ha pregio, non essendovi evidentemente identità genetica tra padre e figlio, in quanto ciascun genitore (padre e madre) contribuiscono in ugual misura a determinare il patrimonio genetico del figlio.

Sulla base di tali osservazioni, il Giudice a quo ha ritenuto superflua la prova dedotta dal ricorrente, valutazione di fatto, insuscettibile di controllo in questa sede, se fondata, come nella specie, su adeguata motivazione.

Quanto alle censure avverso la sentenza definitiva, il ricorrente, con il primo motivo, lamenta "illogicità e difetto di motivazione", laddove la Corte di merito ha confermato le statuizioni economiche a suo carico, ritenendo che i redditi, da lui percepiti nel 2007, fossero superiori a quelli denunciati, non giustificandosi un calo reddituale rispetto al 2002.

Il motivo va dichiarato inammissibile.

Non si tratta nella specie, di illogicità o difetto di motivazione, ma dell'affermazione di un principio di diritto, che non viene censurato, sulla base degli artt. 148, 261, 277, c.c., per cui i genitori naturali hanno l'obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo: ciò significa, in particolare tener conto non dei redditi effettivi, ma di quelli che il genitore ha la capacità di conseguire.

Prosegue la pronuncia impugnata, applicando tale principio alla fattispecie in esame, e precisando che in mancanza di giustificazione alcuna al mutamento di attività del B. (dapprima socio con il padre di un albergo-ristorante, successivamente muratore artigiano), è da presumere che questi avesse mantenuto la sua originaria capacità reddituale (così come, d'altro canto, la madre della minore, già cameriera presso l'azienda cogestita dal B. stesso).

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 2059 c.c., artt. 99 e 100 c.p.c., illogicità e/o difetto di motivazione, in ordine alla sua condanna al pagamento di Euro 25.000,00, quale risarcimento del danno alla minore, dando luogo in sostanza a due submotivi.

Per quanto attiene al profilo sostanziale, il quesito di cui all'art. 366 bis c.p.c. appare inadeguato (e il relativo submotivo risulta inammissibile), essendo del tutto generico, una sorta di riassunto del ricorso, che si manifesta in un sollecito al Giudice in un interrogativo circolare (Cass. S.U. n. 28536/2008): costituirebbe violazione del principio processuale del diritto alla difesa e dell'art. 2059 c.c., la motivazione della sentenza "che ha ritenuto realizzato l'ostinato rifiuto di riconoscere la figlia minore dalla costituzione in giudizio di primo grado e dall'appello interposto alla decisione di primo grado, e nella parte che ha condannato l'appellante al risarcimento del danno". Si afferma, nel quesito, che per le medesime ragioni, la motivazione sarebbe anche "illogica":

sarebbe stato pertanto necessario, al riguardo, una differente sintesi, del tutto assente, omologa al quesito di diritto, con indicazione del fatto controverso ovvero delle ragioni per cui la dedotta insufficienza di motivazione la renderebbe inidonea a giustificare la decisione (Cass. S.U. n. 11659/08).

Quanto al profilo processuale (in tal caso il quesito appare adeguato), la censura è infondata. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale abbia ritenuto legittimato alla richiesta di danno la madre della minore in violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c.. Ai sensi dell'art. 273 c.c., l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale può essere promossa, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà ovvero dal tutore, che, a differenza del genitore, deve chiedere l'autorizzazione del Giudice, il quale può nominare un curatore speciale. Nella specie, nonostante la nomina di un curatore speciale, che, per quanto osservato, non era evidentemente necessaria, la domanda principale era stata proposta dalla madre, nell'interesse del minore, e dunque essa ben poteva richiedere, ancora nell'interesse di questo, la condanna del genitore dichiarato al risarcimento del danno.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la condanna alle spese di giudizio a favore della Ba. e del curatore. Il motivo è infondato. Il Giudice a quo ha correttamente applicato il principio della soccombenza.

Le spese seguono la soccombenza, anche per il presente giudizio di illegittimità.

Non si ravvisano i presupposti di cui all'art. 385 c.p.c. (mancanza di colpa grave) per un affermazione di responsabilità aggravata in ordine alle spese legali.

 

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00, comprensive di Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

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