Legittime, oltre allo sciopero, le iniziative rivendicative di natura collettiva

1.Premessa

In un contesto come l’attuale, caratterizzato da un assetto salariale e stipendiale della forza lavoro degradato a livelli economici di mera sopravvivenza, conseguente anche ad un’eccessiva e altresì sperequata pressione fiscale (testimoniata dalla presenza e garanzia in capo a soggetti cd. elitari di trattamenti retributivi di gran lunga eccedenti competenze e meriti), desta soddisfazione imbattersi nelle considerazioni giuridiche espresse dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella recente sentenza n. 9526 dell’11 aprile 2025, di cui diremo in seguito.

Venerdi 14 Novembre 2025

Peraltro la sentenza è tanto più meritoria in quanto interviene in presenza di atteggiamenti socio-politici ostili al Sindacato, irridenti addirittura sulla scelta del “Venerdi” per l’indizione dello sciopero e di larghi strati sociali intolleranti a fronte dei routinari disagi correlati alle manifestazioni stradali poste in essere dagli scioperanti.

2. Vediamo cosa ha detto la precitata sentenza

Esaminando una protesta collettiva di 11 lavoratori (con mansioni di carrellista) consistita nel non dar corso alle prescrizioni aziendali di “turni a scorrimento” – sostituiti con turni normali, secondo il ccnl Alimentari di riferimento, dagli stessi operai, giacché l’azienda non intendeva corrispondere la corrispettiva indennità di turno - la Cassazione ha tagliato corto, andando al sodo (come si suole dire), tuttavia, sulla base dì stretti e convincenti principi di diritto.

L Suprema corte si è dissociata dalla Corte d’Appello che aveva ritenuto sanzionabile lo scostamento dei lavoratori dalle prescrizioni datoriali – sostituito non già da un’astensione dal lavoro (che avrebbe concretato uno sciopero) ma da una prestazione lavorativa a turni ordinari e non “a scorrimento”, giustappunto per protestare contro la pretesa datoriale di beneficiare di una turnazione senza la corresponsione della corrispettiva indennità economica.

La corte d’appello, investita in 2 grado della controversia, aveva osservato che il comportamento degli 11 lavoratori non poteva qualificarsi “sciopero” giacché non era stata carente la prestazione lavorativa (in quanto resa, seppure in forma ordinaria e non a scorrimento, giustappunto per concretizzare una rimostranza di natura collettiva a fronte di un diniego datoriale di compensare il turno a scorrimento con la relativa indennità.

Conseguentemente, la corte di 2 grado, trasformava la protesta collettiva di palese natura rivendicativa sindacale in senso lato, in 11 inadempimenti individuali (uno per ciascuno degli 11 lavoratori) legittimandone il licenziamento datoriale per giusta causa, individuata in un inadempimento alle prescrizioni aziendali.

3. Le censure della Cassazione alle argomentazioni giustificatrici dei licenziamenti individuali, che il datore viene costretto a revocare e indennizzare

Asserisce la Cassazione che la Corte d’ appello non ha in realtà valorizzato sul piano oggettivo la natura collettiva della condotta in concreto realizzata dai lavoratori, pur accertata e messa in chiara evidenza ai fini dell’identificazione dell’elemento soggettivo; e, cadendo in una intrinseca contraddizione, ha riportato l’esercizio dell’azione di protesta collettiva sul terreno della condotta individuale perseguibile disciplinarmente, alla stregua di un inadempimento contrattuale.

Pertanto la S. Corte, sul piano del diritto positivo, addebita alla corte d’appello di aver omesso di considerare che la Costituzione e le fonti sovranazionali tutelano non solo lo sciopero ma anche l’azione collettiva e l’attività sindacale in cui essa si estrinseca; posto che il diritto di sciopero è soltanto una delle manifestazioni e delle forme di autotutela collettiva dei lavoratori in quanto parte della più ampia categoria delle azioni collettive protette dall’ordinamento.

Infine afferma che nel concetto di libertà sindacale, protetta dall’art. 39 della Costituzione, è insita una libertà ampia che spazia dalla libertà di scelta delle forme organizzative a quella di scegliere le modalità della propria azione, se è vero che il sindacato ha, nel conflitto e nelle lotte rivendicative, la sua ragion d'essere.

Aggiunge altresì che l’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede che: «I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero» Ricorda, addizionalmente, che l’art.13 della Carta Comunitaria Europea dei Diritti Sociali Fondamentali dei Lavoratori stabilisce: «Il diritto di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive comprende il diritto di sciopero, fatti salvi gli obblighi risultanti dalle regolamentazioni nazionali e dai contratti collettivi. Onde favorire la composizione delle vertenze di lavoro, occorre incoraggiare, conformemente alle prassi nazionali, l’istituzione e l’impiego, ai livelli appropriati, di procedure di conciliazione, mediazione ed arbitrato».

Ed aggiunge che l’art. 6 della Carta Sociale Europea prevede che: «Per garantire l’effettivo esercizio del diritto di negoziazione collettiva, le Parti … riconoscono: il diritto dei lavoratori e dei datori di lavoro d’intraprendere azioni collettive in caso di conflitti d’interesse, compreso il diritto di sciopero, fatti salvi gli obblighi eventualmente derivanti dalle convenzioni collettive in vigore”.

4. In conclusione escono riaffermati i seguenti importanti principi di diritto:

a) che lo sciopero costituisce un atto a forma libera, che non richiede la proclamazione da parte del sindacato, configurando esso un diritto la cui titolarità spetta individualmente ad ogni lavoratore, mentre il solo esercizio deve esprimersi in forma collettiva;

b) che in presenza di una situazione conflittuale implicante la tutela di un interesse collettivo, le forme di lotta organizzata, decise ed attuate collettivamente, sono pur sempre espressione d’un diritto costituzionalmente garantito e, quindi, non consentono l’irrogazione di sanzioni disciplinari, né espulsive, né conservative, alle quali, in quanto illegittime, ha fatto seguito – nella fattispecie esaminata - l’ordine giudiziale all’azienda di revoca dei disposti licenziamenti individuali accompagnato dal relativo trattamento individuale indennitario di legge (ex art. 18, comma 1, Statuto dei lavoratori).

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