Cassazione: l'ex moglie che rifiuta un lavoro ha comunque diritto all'assegno divorzile

Cassazione, Prima sezione civile, sentenza n. 22504 del 04/11/2010.
Cassazione: l'ex moglie che rifiuta un lavoro ha comunque diritto all'assegno divorzile
Divorzio - riconoscimento assegno all'ex moglie - rifiuto attività lavorativa - ammissibilità
Domenica 21 Novembre 2010

L'ex moglie ha diritto all'assegno di divorzio anche quando ha rifiutato un'attività lavorativa per ragioni personali, come la eccessiva distanza della sede di lavoro da casa e la inidoneità a svolgere le mansioni che le sarebbero state assegnate, preferendo iscriversi all'università; la breve durata del matrimonio e la giovane età dell'ex moglie possono incidere sul quantum dell'assegno, ma non sull'an, ed in tal senso questa massima conferma un orientamento costante della Suprema Corte in tema di dterminazione dell'assegno di divorzio.

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione del locale tribunale del 17 maggio 2002 che, successivamente a sentenza parziale che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra P.U. e C.F. dopo circa tre anni di vita matrimoniale, aveva determinato un assegno di divorzio mensile di Euro 510,00, con la rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT a carico dell'uomo, ha accolto in parte il gravame dello stesso ed ha ridotto la somma di cui al primo grado ad Euro 250,00 mensili ed accessori, compensando le spese del grado.

Ad avviso della Corte di merito, infondato era il motivo di appello del P. che aveva denunciato una ultrapetizione del tribunale, perchè la C. aveva domandato nel costituirsi un assegno mensile di L. 900.000 mentre le era stato riconosciuto il diritto alla maggior somma di Euro 510,00 (L. 987.000) al mese; ha ritenuto la sentenza impugnata che la misura più alta dell'assegno comprendesse la rivalutazione dalla data della domanda a quella della decisione e che non vi fosse quindi violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La Corte d'appello ha poi confermato la sussistenza del diritto all'assegno in ragione della mancanza di condizioni reddituali o patrimoniali della donna che le consentissero di godere lo stesso tenore di vita fruito durante la vita matrimoniale; considerato il carattere consensuale della separazione e la brevità della durata del matrimonio, il diritto all'assegno derivava per la donna dalla palese sperequazione tra le condizioni economiche delle parti, dato che il P. fruiva di redditi annuali di Euro 25.000,00 mentre la C. era disoccupata, convivendo con i genitori ed essendosi nuovamente iscritta alla facoltà di medicina dopo la separazione, anche se non aveva sostenuto esami.

La Corte di merito ha rilevato poi che la donna aveva rifiutato un posto da segretaria ad (...omissis...), per essere il luogo di lavoro lontano da casa e ritenendosi inadatta al tipo di mansioni offerte;

pertanto, la C. non poteva ritenersi responsabile della carenza di mezzi economici che differenziava la sua posizione rispetto a quella del P. e la solidarietà postconiugale imponeva la integrazione a carico dell'ex marito delle entrate della donna, al fine di garantirle un treno di vita simile a quello goduto manente matrimonio.

Comunque la brevità della durata della vita matrimoniale e il connesso modesto contributo della donna alla formazione del patrimonio familiare comportavano una misura modesta dell'assegno di divorzio, anche in considerazione del fatto che vi era una chiara idoneità al lavoro della C. per la sua giovane età, e quindi il contributo mensile a carico del P. è stato ridotto ad Euro 250,00 mensili con la rivalutazione annuale a decorrere dalla domanda.

Per la cassazione della sentenza che precede, il P. ha proposto ricorso di due motivi, notificato il 10 - 11 ottobre 2006 alla C., che non resiste in questa sede.

Motivi della decisione

1.1. Il primo motivo del ricorso del P. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c. , n. 3, avendo la Corte di merito escluso la ultrapetizione del tribunale, il quale, a suo avviso, nel liquidare un assegno maggiore di quello originariamente chiesto dalla C., aveva solo adeguato alla svalutazione la somma mensile attribuita alla donna nell'udienza presidenziale del 2 marzo 2000, superando, con tale statuizione, la misura di quanto chiesto dalla donna con la costituzione in giudizio.

Il quesito conclusivo prospetta come disapplicazione dell'art. 112 c.p.c., il principio adottato dalla Corte di merito per il quale, nel decidere, il giudice esattamente determina un assegno di divorzio maggiore di quello chiesto, con propria e autonoma deduzione.

1.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un ratto decisivo in ordine all'applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, come modificata con L. n. 84 del 1987 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in rapporto all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Anche la determinazione del minor assegno di Euro 250,00 mensili contraddice con la rilevata circostanza che la C. ha rifiutato la sistemazione lavorativa offertale di segretaria di un'azienda:

tale rifiuto del lavoro, da solo, avrebbe giustificato una revoca dell'assegno, che invece erroneamente non vi è stata.

La donna, pur essendo stata iscritta per alcuni anni dopo la separazione alla facoltà di medicina, non ha dato prova di avere sostenuto alcun esame, evidenziando di non avere interesse a predisporre una situazione in cui possa maturare per lei una possibilità di attività lavorativa; inoltre nessuna prova vi è stata sul tenore di vita nei tre anni di matrimonio delle parti che, anzi, in detta fase, hanno coabitato con i genitori del marito.

Solo dopo la separazione l'uomo ha ereditato immobili dalla famiglia di origine, mentre la donna è rimasta colposamente priva del lavoro, rendendosi volontariamente priva di redditi sufficienti a garantirle un treno di vita analogo a quello fruibile e non fruito dai coniugi durante la vita matrimoniale.

La sintesi-quesito finale del secondo motivo di ricorso chiede di accertare se non vi sia stata illogica e contraddittoria motivazione della, sentenza impugnata per avere ridotto l'originario assegno ad Euro 250,00 mensili invece di revocarlo, dopo avere accertato il rifiuto dalla C. di una proposta lavorativa.

2.1. Il primo motivo di ricorso deve necessariamente dichiararsi inammissibile, per difetto di interesse, in ragione dell'accoglimento parziale del gravame del P..

La Corte d'appello infatti, se ha rigettato l'appello sulla extrapetizione del primo giudice, che aveva determinato la misura dell'assegno in una somma maggiore di quella chiesta, ha poi ridotto lo stesso ad una misura minore di quella chiesta dalla C. in primo grado, a decorrere dalla data prevista dal primo giudice, con la conseguenza che la statuizione per la quale vi è stata la denuncia di ultrapetizione è venuta meno e, con essa, anche l'interesse del P. alla decisione sul motivo di impugnazione relativo ad una decisione che comunque, per effetto dell'accoglimento parziale del gravame, riduce al di sotto di quanto domandato alla C. con la comparsa di costituzione nel primo grado del giudizio di divorzio, la misura dell'assegno (sulla decorrenza dell'assegno dalla domanda cfr. Cass. 15 novembre 2002 n. 16066), per effetto di circostanze antecedenti alla costituzione della donna in tribunale, che hanno determinato la misura del contributo mensile a carico del P. inferiore al richiesto (Cass. 2 febbraio 2006 n. 2338), con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per carenza di interesse del ricorrente.

2.2. E' inammissibile anche il secondo motivo di ricorso avverso la sentenza impugnata, il quale non censura adeguatamente, anche nella sintesi finale, le carenze motivazionali della pronuncia, non indicando ratti decisivi, valutati invece in sede di merito per giustificare il rifiuto dalla C. dell'offerta di lavoro, come la distanza da casa dell'ufficio e la inidoneità della donna alle mansioni a lei proposte, domandando solo una nuova valutazione delle circostanze di fatto in sede di legittimità, preclusa dalle ragioni espresse nella decisione oggetto di ricorso, incompatibili con la pretesa revoca dell'assegno.

3. In conclusione, entrambi i motivi di ricorso sono preclusi e l'impugnazione deve dichiararsi inammissibile; le spese di causa devono restare a carico del ricorrente, non essendosi l'intimata difesa in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

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